6 marzo 2012

Cassazione, 29 febbraio 2012, n. 3130 prima di separarsi affitta la casa coniugale? no alla reintegrazione nel possesso, sì al risarcimento dei danni!


Il marito, comproprietario pro indiviso della casa coniugale insieme al fratello, concedeva in locazione l’appartamento poco prima di separarsi dalla moglie. Quest’ultima agiva in giudizio, chiedendo di essere reintegrata nel possesso della casa coniugale di cui era stata spogliata, individuando come autori dello spoglio non solo i due fratelli comproprietari, ma anche i conduttori, una coppia di coniugi, i quali, a suo dire, avevano preso in locazione l'immobile nella consapevolezza di ledere il suo possesso.

Il Tribunale, all’esito del giudizio, rigettava la domanda di reintegrazione nel possesso, ma accoglieva in parte le ulteriori domande attrici, condannando il marito a reintegrare l’istante nel possesso dei beni mobili, nonché, unitamente al fratello, al risarcimento dei danni per la perdita del compossesso dell’immobile.

Avverso la predetta sentenza proponeva appello in via principale la moglie, contestando l’affermazione del giudice di prime cure che aveva considerato in buona fede i conduttori dell’unità immobiliare, negando una loro responsabilità per lo spoglio in parola. I fratelli, invece, formulavano appello incidentale con riferimento alla loro asserita responsabilità. Tuttavia, la Corte d’Appello, uniformandosi al precedente decisum, rigettava l’impugnazione.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 3130 del 29 febbraio 2012, rigettando i rispettivi ricorsi, ha ritenuto esente da censure la ricostruzione dei fatti di causa operata dai Giudici Territoriali sia con riferimento alla posizione dei conduttori, ritenuti in buona fede al momento della conclusione del contratto di locazione sulla scorta delle prove testi espletate in primo grado, sia per quanto concerne la posizione dei due fratelli comproprietari dell’immobile sede della casa coniugale. 

Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, 29 febbraio 2012, n. 3130
 
Svolgimento del processo
La sig.ra A.D.G. con atto notif. il 22.5.98 chiedeva al Pretore di Adrano di essere reintegrata nel possesso della casa coniugale, sita in Adrano alla via (…), di cui era stata spogliata ad opera del marito A.P. e del fratello di questi, A.P., comproprietario pro indiviso dell’immobile stesso. Precisava che coautori del lamentato spoglio dovevano ritenersi anche i coniugi A.C. e D.F., che avevano preso in locazione l’immobile stesso nella consapevolezza di ledere il suo possesso.
II giudice adito (divenuto poi tribunale di Catania sez. distaccata di Adrano) rigettava il richiesto provvedimento di reintegra del possesso della casa coniugale, ma accoglieva in parte le ulteriori domande attrici, condannando il coniuge A.P. a reintegrare l’istante nel possesso dei beni mobili di sua esclusiva proprietà o di proprietà comune, nonché, unitamente al fratello A., al risarcimento dei danni per la perdita del compossesso dell’immobile, compensando interamente tra le parti le spese del processo. Avverso la predetta sentenza proponeva appello in via principale la D.G., contestando in modo particolare l’affermazione del tribunale che aveva considerato in buona fede i coniugi C.F., conduttori dell’unità immobiliare, erroneamente ritenuti inconsapevoli dello spoglio subito dall’attrice; i fratelli P. formulavano ciascuno appello incidentale con riferimento alla loro asserita responsabilità per lo spoglio in parola.
L’adita Corte d’Appello di Catania con sentenza n. 314/05 depos. in data 22.3.2005 rigettava sia l’appello principale che quelli incidentali, compensando le spese del grado. La Corte siciliana ribadiva l’esistenza dei lamentato spoglio ad opera dei P., ma sosteneva, in modo particolare, che sulla base delle emergenze istruttorie, mancava la prova della consapevolezza dei coniugi C.F. in ordine allo spoglio patito dalla D.G..
Per la cassazione della suddetta decisione ricorre A.D.G. sulla base di una sola censura. Resistono gli intimati A. ed A.P. con controricorso, proponendo autonomo ricorso incidentale. Gli altri intimati non hanno svolto difese.
Motivi della decisione
Preliminarmente occorre procedere alla riunione dei ricorsi.
Con l’unico motivo del ricorso principale la D.G. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1168, 1169, 2697 c.c. e art. 111 c.p.c. in relazione all’art. 360, II co. n. 3 e 5 c.p.c., nonché l’insufficiente o contraddittoria motivazione. La censura (che ripropone il motivo d’appello a suo tempo da lei formulato) è volta a dimostrare, attraverso l’esame delle risultanze istruttorie (dichiarazione testimoniali e delle parti in sede d’interrogatorio formale) di avere fornito, con riferimento ai disposto di cui all’art. 1169 c.c., la prova della “malafede” dei convenuti C.­F. che erano divenuti affittuari della casa coniugale in epoca immediatamente prossima alla separazione della D.G. con il P., ciò che induceva a ritenerli consapevoli dello spoglio sofferto da essa esponente.
Osserva il Collegio, invero, che le denunciate violazioni di legge come il vizio motivazionale si risolvono in definitiva in questioni di merito, in mere valutazioni delle emergenze istruttorie, come tali incensurabili in sede di legittimità, attesa la corretta, congrua e logica motivazione della sentenza impugnata.
Nella fattispecie in esame la corte siciliana ha invero convenientemente apprezzato le dichiarazioni rese dai coniugi C.F. (secondo cui era stato loro riferito dell’avvenuta separazione della D.G. dal proprio marito) e del teste R., ispettore di polizia, traendone valutazioni dei tutto logiche e consequenziali che ben possono essere condivise.
Secondo il costante insegnamento di questa S.C. “il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 n. 5 c.p.c., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte perché la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico - formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. Sez. U, n. 5802 del 11/06/1998; Cass. n. 1892 del 11.2.2002; Cass. n. 15604 del 12.07.2007).
Passando all’esame del ricorso incidentale di A.P., questi, con l’unico motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione dell’ art. 112, 132 n. 4, 342 c.p.c., nonché degli art. 1362 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360, II co. n. 3, 4 e 5 c.p.c., nonché il vizio di motivazione. L’esponente sostiene che mancherebbe del tutto la motivazione che ha cariato la Corte d’ Appello a ritenere inammissibile l’appello incidentale da lui proposto circa l’insussistenza dello spoglio. Sostiene che il tribunale aveva accolto la domanda di spoglio “perché il resistente avrebbe nascosto alla ricorrente la locazione e perché questa sarebbe avvenuta “soltanto poco tempo dopo l’allontanamento dell’appartamento (meno di un mese)…” A sua volta la Corte d’Appello, chiamata a decidere sull’appello incidentale dell’odierno ricorrente, che lamentava il “deserto motivazionale” della sentenza impugnata in conseguenza della totale omissione di valutazione delle risultanze probatorie, dichiarava il motivo inammissibile difettandone il requisito della specificità in violazione dell’art. 342 c.p.c. In realtà ai fini di stabilire la specificità dei motivi d’appello, occorrerebbe avere riguardo alla maggiore o minore articolazione della motivazione della sentenza impugnata, che nenia fattispecie era alquanto succinta.
La doglianza è infondata, sembrando corretta la tesi della Corte d’Appello circa l’evidente genericità dei motivi d’appello e quindi dell’inammissibilità della relativa censura. Il giudice a quo ha infatti osservato che il P., con la sua doglianza, si era solo limitato ad osservare che il giudice d primo grado aveva ritenuto la sussistenza dei lamentato spoglio “senza tuttavia spiegarne le ragioni e totalmente omettendo di valutare le risultanze probatorie acquisite”. A suo dire, dalle testimonianze assunte risulterebbe insussistenza degli elementi costitutivi dello spoglio”. Ai riguardo si sottolinea che secondo questa S.C., “nell’atto d’appello alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi la parte argomentativa, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, onde non è sufficiente che l’appello individui le statuizioni concretamente impugnate, ma è necessario pur quando la sentenza impugnata sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravarne siano esposte con sufficiente grado di specificità, da correlare pertanto con la motivazione della sentenza impugnata”. (Cass. n. 3805 del 15/04/1998; Cass. Sez. 2, n. 10680 del 22/07/2002). Alla luce di queste osservazioni, deve escludersi che i motivi d’appello (che l’esponente avrebbe dovuto trascrivere in omaggio del principio dell’autosufficienza del ricorso: Cass. n. 15808 del 12.6.2008) avessero i requisiti minimi della specificità richiesti dalla norma citata (art. 342 c.p.c.), per cui deve ritenersi corretta e condivisibile la decisione impugnata.
Passando all’esame dei ricorso incidentale di A.P., questi, con l’unico motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112, 132 n. 4, 342 c.p.c., nonché degli art. 1362 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360, II co. n. 3, 4 e 5 c.p.c., nonché il vizio di motivazione.
Lamenta che la Corte siciliana ha rigettato l’appello da lui proposto circa la propria estraneità ai fatti dei presunto spoglio del possesso lamentato dalla cognata. In realtà egli non aveva partecipato ai fatti in esame, ma solo alla stipula dei contratto di locazione in quanto comproprietario dell’immobile insieme al proprio fratello A.; egli però non era mai stato presente e partecipe nella vicenda, ma si era limitato a riferire in assoluta buonafede ai nuovi inquilini “le cose che aveva appreso dai fratello”, cioè la circostanza che i coniugi si erario separati, “lasciando libera” pertanto la loro casa coniugale.
La doglianza è infondata, risolvendosi anch’essa in una postulazione di diversa e più appagante interpretazione delle emergenze istruttorie, su cui il giudice a quo si è correttamente espresso con motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici. Si rinvia a tal fine alle considerazioni sopra svolte circa la configurabilità del vizio motivazionale.
In conclusione devono essere rigettati tanto il riscorso principale che quelli incidentali. Stante la soccombenza di tutte le parti, si ritiene di compensare le spese.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta, compensando le spese processuali tra tutte le parti.
Depositata in Cancelleria il 29.02.2012

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