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24 aprile 2012

Buca stradale e responsabilità dell'Anas: no al risarcimento se l'ente segnala il pericolo e il motociclista ha un comportamento colposo


Un motociclista conveniva in giudizio l’Anas dinanzi al Giudice di Pace chiedendo il risarcimento dei danni che asseriva di aver subito allorché, alla guida del proprio ciclomotore, era caduto a terra a a causa di una buca presente sulla strada che stava percorrendo. Sia il Giudice di Pace che il Tribunale, investito dell’appello, rigettavano la domanda.

Il motociclista, ricorreva in Cassazione denunciando insufficiente e carente motivazione in ordine al fatto controverso, in quanto entrambi i giudici, pur avendo riconosciuto l’inadeguatezza della strada e la sua pericolosità, avevano ritenuto di attribuire al caso fortuito l’incidente sulla scorta dell’obbligo del conducente di dover evitare gli ostacoli presenti sulla strada e non alla carenza di interventi di manutenzione da parte dell’Anas.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 6065 del 18 aprile 2012, rigettando il ricorso del motociclista, ha innanzitutto ribadito che, con specifico riferimento al danno da cattiva manutenzione del manto stradale, più volte si è affermato che ove si verifichi un sinistro a seguito di non corretta manutenzione della strada da parte dell’ente preposto alla tutela, la responsabilità gravante sulla P.A., ai sensi dell’art. 2051 c.c., per l’obbligo di custodia delle strade demaniali, è esclusa ove l’utente danneggiato abbia tenuto un comportamento colposo tale da interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso.

Le misure di precauzione e salvaguardia imposte al custode del bene devono ritenersi correlate alla ordinaria avvedutezza di una persona e perciò non si estendono alla considerazione di condotte irrazionali, o comunque al di fuori di ogni logica osservanza del primario dovere di diligenza, con la conseguenza che non possono ritenersi prevedibili ed evitabili tutte le condotte dell’utente del bene in altrui custodia, ancorché colpose.

Secondo la Cassazione, nel caso in esame, i giudici di merito, con ragionamento immune da vizi logici o giuridici e con adeguata motivazione hanno escluso un comportamento colposo dell’ente Anas pur in presenza delle buche, in quanto lo stesso ente si era attivato nel segnalarle con apposito cartellone, oltre ad imporre il limite di velocità di km 30/h. Colposo, invece, è stato il comportamento del motociclista che non si è attenuto alle comuni regole di prudenza, alle segnalazioni stradali, certamente visibili in pieno giorno, e non ha tenuto una velocità adeguata alla condizione dei luoghi.
 

29 marzo 2012

Cassazione, 6 marzo 2012, n. 3447 risarcimento danno per invalidità permanente e criterio di liquidazione


Sinistro stradale tra un’autovettura ed un ciclomotore con a bordo due persone. I genitori esercenti la potestà sulla minore, conducente del motore, e la terza trasportata convenivano in giudizio la compagnia assicuratrice e il proprietario dell’auto al fine di ottenere sia il risarcimento dei danni alla persona in favore della conducente, sia dei danni subiti dalla terza trasportata, sia dei danni al ciclomotore. Il Tribunale adito, applicando  il principio di cui all’art. 2054, 2 comma, c.c., e, quindi, ritendo operante la presunzione di responsabilità di entrambi i veicoli coinvolti nel sinistro, accoglieva la domanda di risarcimento danni.

Successivamente, la terza trasportata proponeva appello chiedendo la maggiore liquidazione dei danni, ivi compreso il danno esistenziale. La Corte d’Appello, tuttavia, riformando in parte il precedente decisum, riduceva la somma a titolo di risarcimento in favore della terza trasportata, così condannandola alla restituzione della maggiore somma ricevuta in esecuzione della sentenza di secondo grado. In particolare, secondo la Corte territoriale, la domanda concernente il risarcimento per la diminuzione dell'attività lavorativa futura subita in seguito all'invalidità permanente non risultava adeguatamente provata.

La terza trasportata ricorreva, quindi, in Cassazione, lamentando il mancato ristoro del danno da invalidità permanente relativo all’attività lavorativa futura in applicazione del comma 3 dell'art. 4 della l. n. 39 del 1977, nonostante le chiare risultanze della consulenza tecnica già espletata in primo grado.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 3447, depositata il 6 marzo 2012, accogliendo il ricorso della donna, ha precisato che: “in tema di determinazione del reddito da considerare ai fini del risarcimento del danno per invalidità permanente, l'art. 4 del D.L. n. 857 del 1976, convertito in legge n. 39 del 1977 - dopo aver indicato (primo comma) i criteri da adottarsi con riguardo ai casi di lavoro, rispettivamente, autonomo e subordinato -, allorché stabilisce (terzo comma) che "in tutti gli altri casi" il reddito da considerare ai suddetti fini non può essere inferiore a tre volte l'ammontare annuo della pensione sociale, ricomprende in tale ultima previsione non solo l'ipotesi in cui l'invalidità permanente ed il conseguente danno futuro siano stati riportati da soggetti che non siano lavoratori autonomi o dipendenti, ma anche quella, più generale, in cui il danno futuro incida su soggetti attualmente privi di reddito, ma potenzialmente idonei a produrlo”.
 

3 febbraio 2012

Corte di Cassazione, 26 gennaio 2012, n. 1144 la presunzione di colpa ex art. 2054, comma 2, c.c. non opera se la responsabilità del sinistro è esclusivamente addebitabile ad una vettura non identificata


La Corte di Cassazione, con la sentenza  n. 1144, depositata il 26 gennaio 2012, ha sancito che, in materia di circolazione stradale, la presunzione di pari responsabilità nella causazione del sinistro stradale prevista dall’art. 2054, comma 2, c.c. secondo cui nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito, opera esclusivamente in due casi: 

- se sia impossibile accertare con indagini specifiche le modalità del sinistro e le rispettive responsabilità;

- se non sia possibile stabilire con certezza l'incidenza delle singole condotte colpose nella causazione dell'evento;

Pertanto, la presunzione ex art. 2054, comma 2, c.c. ha carattere strettamente sussidiario e non può certo applicarsi nel caso in cui risulti che l’incidente si sia verificato per esclusiva colpa di uno dei conducenti. E tale presunzione non opera nemmeno nell’ipotesi, tutt’altro che remota, in cui la responsabilità del sinistro sia esclusivamente addebitabile al comportamento tenuto dal conducente di un’autovettura non identificata. 

Ciò detto, passiamo all’analisi del casus decisus. Un’autovettura di colore rosso, non identificata, si immetteva repentinamente in una strada a doppio senso di marcia, non concedendo la precedenza alle autovetture che sopraggiungevano e non sfruttando la lunga corsia di accelerazione a sua disposizione. In tal modo costringeva il conducente di una Ford Fiesta che sopraggiungeva ad invadere la semicarreggiata riservata al senso opposto. Tale manovra, però, causava un primo impatto con l’autovettura rossa, ed un successivo frontale con una Fiat Panda, veicolo antagonista.

Il conducente della Panda ricorreva in Cassazione lamentando il mancato riconoscimento, nei due precedenti gradi di giudizio, della presunzione di pari responsabilità in capo al conducente della Fiesta. Ma la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1144/2012, ha rigettato il ricorso in quanto, dalla ricostruzione della dinamica dell’incidente, non soggetta a riesame in sede di legittimità, era emerso che l’unica responsabilità del sinistro era addebitabile al conducente dell’autovettura non identificata e tanto basta ad escludere l’operatività della presunzione  ex art. 2054, comma 2, c.c..

17 gennaio 2012

Corte di Cassazione, 22 dicembre 2011, n. 28286 Abuso del processo e frazionamento della domanda risarcitoria nascente da fatto illecito in materia di circolazione stradale


La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28286 del 22 dicembre 2011, torna ad occuparsi del tanto discusso “abuso del processo”, muovendosi nel solco interpretativo già tracciato dalla ormai “celebre” pronuncia delle Sezioni Unite n. 23726 del 15 novembre 2007.

Il caso sottoposto all’attenzione della Corte presenta notevoli profili d’interesse. Il sig. G.F., coinvolto in un incidente alla guida del proprio ciclomotore, conveniva il Comune di Lucca in due distinti giudizi: uno, dinanzi al Giudice di Pace, teso ad ottenere il ristoro dei danni materiali riportati dal veicolo;  l’altro, dinanzi al Tribunale, finalizzato ad ottenere il risarcimento dei danni alla persona (nella specie lesioni personali con postumi invalidanti).
Il giudizio dinanzi al Giudice di Pace, instaurato precedentemente, si concludeva con il riconoscimento della responsabilità del Comune convenuto, con conseguente condanna dello stesso al risarcimento dei danni materiali. La relativa sentenza passava, quindi, in giudicato. Il Tribunale di Lucca, al contrario, rigettava la domanda risarcitoria. E lo stesso faceva la Corte d’Appello investita dell’impugnazione. Con quali motivazioni? Essenzialmente, i giudici di merito ritenevano non conforme ai principi di buona fede e di correttezza il frazionamento della pretesa risarcitoria nascente da un fatto illecito unitario.

La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione nella sentenza in commento, confermando il decisum dei primi due gradi di giudizio, ha affermato che, in caso di danni a cose ed alla persona subiti in occasione di un unico sinistro, non possa consentirsi al danneggiato di frazionare la tutela giurisdizionale mediante la proposizione di distinte domande davanti al Giudice di Pace ed al Tribunale, in ragione delle rispettive competenze per valore, trattandosi di condotta lesiva del generale dovere di correttezza e buona fede, e tale da risolversi in un abuso dello strumento processuale, alla luce dell’art. 111 Cost..
In particolare, secondo la Corte di Legittimità, i principi di buona fede e correttezza, espressioni del dovere inderogabile di solidarietà sancito dall’art. 2 della Carta Costituzionale, non restano circoscritti al mero rapporto obbligatorio e contrattuale, ma spiegano altresì i loro effetti sul piano della “dinamica dell’azione”, consentendo di prevenire forme di abuso dello strumento processuale. E tanto può essere affermato sulla scorta di un mutato quadro giurisprudenziale evolutosi nella duplice direzione, sia di una sempre più accentuata valorizzazione della regola di correttezza e buona fede di cui si è detto, sia in relazione al canone del  "giusto processo", espresso dall’art. 111 Cost.

Ma in che modo la “parcellizzazione” dell’azione risarcitoria può tradursi in abuso?
Per rispondere a questa domanda occorre aver essenzialmente riguardo all’interesse del danneggiante debitore, il quale sarebbe di fatto costretto a doversi difendere in più giudizi, con conseguente aggravio di spese. Inoltre, la disarticolazione dell’azione processuale originariamente unitaria comporta per il debitore stesso un prolungamento del vincolo nascente dall’obbligazione per fatto illecito.