23 aprile 2012

Vende profumi contraffatti? la dicitura “falso d’autore” non esclude il reato!


L’imputata, unitamente ad altre persone, veniva rinviata a giudizio per il reato di introduzione e commercio di prodotti con segni falsi previsto dall’art. 474 c.p. in quanto deteneva per la vendita o comunque vendeva delle confezioni di profumo recanti marchi e segni distintivi contraffatti, nonché per il diverso reato di ricettazione ex art. 648 poiché acquistava i predetti prodotti  risultati provento di altro delitto a lei noto.

Il Tribunale di Palermo, all’esito del dibattimento, assolveva l’imputata dai reati ascritti, affermando che la dicitura “falsi d’autore” apposta sulle confezioni dei profumi oggetto di acquisto e di successiva rivendita da parte dell’imputata, escludeva l’idoneità del falso a trarre in inganno i consumatori, non ricorrendo alcun sviamento della libera determinazione del compratore e della fede pubblica.

La Corte di Appello, accogliendo l’impugnazione della parte civile, dichiarava la responsabilità della imputata, ai soli fini civili, per i fatti contestati, condannandola al risarcimento dei danni patiti dalle stesse parti civili.

L’imputata ricorreva, quindi, in Cassazione, deducendo l’insussistenza della contraffazione contestata, dovendosi tenere conto che la dicitura apposta sui prodotti era idonea ad evitare la lesione della fede pubblica tutelata dalla disposizione di legge richiamata.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 15080 depositata il 19 aprile 2012, rigettando il ricorso dell’imputata, ha ribadito che l’apposizione della dicitura “falsi d’autore” su prodotti industriali recanti marchi contraffatti non esclude l’integrazione del reato di cui all’art. 474 c.p..

Infatti, osserva la Corte, il reato in esame configura una fattispecie di pericolo contro la fede pubblica per la cui integrazione è sufficiente anche la sola attitudine della falsificazione ad ingenerare confusione, con riferimento non solo al momento dell’acquisto, ma anche a quello della successiva utilizzazione del prodotto contraddistinto dal marchio contraffatto. Nella specie trattasi comunque di valutazione attinente ad aspetti di merito, come tale sottratta all'esame del giudice di legittimità. Pertanto è corretto il principio di diritto applicato dalla Corte territoriale la quale ha ritenuto, con giudizio insindacabile nel merito, che i prodotti oggetto del giudizio presentassero caratteristiche di idoneità ad ingannare il consumatore.
 

Corte di Cassazione, Sezione Seconda Penale, 19 aprile 2012, n. 15080

Motivi della decisione
D.M.C., unitamente ad altre persone, è stata sottoposta a giudizio penale siccome accusata dei seguenti reati
a) Del delitto di cui all’art. 474 cp, perché non essendo concorso nel delitto di contraffazione dei marchi, deteneva per la vendita o comunque vendeva n. 189 confezioni di profumo recanti marchi e segni distintivi contraffatti, meglio specificati nel verbale di sequestro della Polizia Giudiziaria in data 23.1.2004.
b) Del delitto di cui all’art. 648 cp, perché acquistava i predetti prodotti risultati provento del delitto di cui all’art. 463 cp a lei noto. Accertato in Palermo il 23.1.2004.
All’esito del dibattimento di primo grado, il Tribunale di Palermo, con sentenza 14.5.2009, ha assolto l’imputata dai reati ascritti (unitamente agli altri imputati) affermando che la dicitura “falsi di autore” apposta sulle confezioni dei profumi oggetto di acquisto e rivendita da parte dell’imputata, escludeva l’idoneità del falso a trarre in inganno i consumatori, non ricorrendo alcun sviamento della libera determinazione del compratore e della fede pubblica.
Avverso la suddetta decisione il Pubblico Ministero e le parti civili costituite hanno proposto appello. La Corte territoriale, con sentenza 21.1.2011 ha dichiarato la inammissibilità del gravame del Pubblico Ministero e ha accolto quella della parte civile così dichiarando la responsabilità della imputata, ai soli fini civili, per i fatti contestati, condannandola al risarcimento dei danni patiti dalle stesse parti civili, da liquidarsi in separata sede.
Tramite il difensore ricorre per Cassazione l’imputata, deducendo:
1. - la violazione degli artt. 473 e 474 cp ex art. 606 I^ comma lett. c) cpp, perché sarebbe insussistente la contraffazione contestata, dovendosi tenere conto della dicitura “falsi d’autore” apposta sui prodotti idonea ad evitare la lesione della fede pubblica tutelata dall’art. 474 c.p.. Rileva ancora la difesa il vizio di carenza della motivazione ex art, 606 I^ comma lett. e) cpp, perché la decisione impugnata postula una confondibilità tra marchi impressi nei prodotti in sequestro e quelli originali, in assenza di qualsivoglia prova di suddetta circostanza, essendo necessaria a tal proposito una perizia volta ad una valutazione comparativa fra i prodotti.
2. - vizio di carenza motivazione ex art. 606 I^ comma lett. e) cpp, perché manca ogni prova dell’elemento psicologico dei reati contestati, a fronte: a) dell’acquisita documentazione fiscale attestante la regolarità della compravendita dei prodotti da parte della imputata, con pagamento degli stessi attraverso assegno bancario; b) delle iniziative giudiziarie intraprese dall’imputata nei confronti dei fornitore.
3. - vizio di motivazione ex art. 606 I^ comma lett. e) cpp, in riferimento all’art. 576 cpp, perché manca l’analisi delle diverse condotte e i diversi ruoli svolti dagli imputati e l’indicazione degli elementi di prova loro rispettivamente a carico. In particolare la difesa osserva che la Corte territoriale, avendo aderito alla tesi per la quale, integra la violazione degli artt. 473 e 474 cp, la condotta del produttore di un qualunque bene che renda noto ai consumatori la non autenticità del bene è pervenuta ad affermare la sussistenza del delitto presupposto del reato di cui all’art. 648 cp (contestato alla prevenuta) senza soffermarsi sulla sussistenza dello elemento psicologico. Afferma la difesa che risulta acclarato dall’istruttoria che la imputata ha acquistato i profumi nello esercizio della propria attività commerciale, da un agente di commercio, emettendo regolare fattura registrata in contabilità, pagando con assegno i relativi importi ed avviando un contenzioso a seguito del sequestro operato dalla polizia giudiziaria.
Il Collegio osserva quanto segue.
Il primo motivo va rigettato.
Come già affermato in Cass. Sez. V^ 9.1.2009 n. 14876, va qui ribadito che l’apposizione della dicitura “falsi d’Autore” su prodotti industriali recanti marchi contraffatti non esclude l’integrazione del reato di cui all’art. 474 cp (Cass. pen., sez. V, 25.9.2008, n. 40556, con riferimento anche all’apposizione della diversa dicitura “fac simile”); infatti il reato in esame configura una fattispecie di pericolo contro la fede pubblica (v. Cass. 19.6.2007 n. 31482 Cass., 4 ottobre 2007, n. 40874 e più recentemente: Cass. 17.4.2008 n. 33324) per la cui integrazione è sufficiente anche la sola attitudine della falsificazione ad ingenerare confusione, con riferimento non solo al momento dell’acquisto, ma anche a quello della successiva utilizzazione del prodotto contraddistinto dal marchio contraffatto (Cass. pen., sez. V, 1.7.2009, n. 40170). Di qui consegue anche che non può parlarsi di reato impossibile là dove la contraffazione sia grossolana o anche ove le condizioni di vendita - per il prezzo praticato, il luogo di esposizione, le caratteristiche personali del venditore - siano tali da escludere la possibilità ragionevole che i clienti vengano tratti in inganno (Cass. pen., sez. II, 17.6.2005 Zheng Min Xin). Nella specie trattasi comunque di valutazione attinente ad aspetti di merito, come tale sottratta al giudice della legittimità. Pertanto è corretto il principio di diritto applicato dalla Corte territoriale la quale in concreto ha ritenuto, con giudizio insindacabile nel merito, che i prodotti oggetto del presente giudizio presentano caratteristiche di idoneità ad ingannare il consumatore.
Parimenti infondati gli ulteriori motivi di ricorso. Il secondo, perché fa riferimento a circostanze di fatto inidonee (emissione di fatture e instaurazione di un giudizio civile risarcitorio) di per sé atto ad escludere (come sostiene la difesa) l’elemento psicologico dei reati contestati alla imputata; si tratta di fatti in parte susseguenti alla consumazione degli illeciti contestati (instaurazione del giudizio risarcitorio), o comunque equivoci nella dimostrazione di un’assenza dell’elemento psicologico, perché la regolarità fiscale della compravendita può essere considerata come espediente per dare legittimazione al negozio illecito. La decisione assunta dalla Corte d’Appello, pertanto non presenta caratteri di illogicità manifesta; trattasi comunque, anche sotto questo profilo, di aspetti di merito che esulano dalla cognizione del giudice di legittimità. Il terzo motivo, a sua volta è infondato, posto che nella motivazione della decisione impugnata è specificatamente descritta la condotta materiale della imputata, di per sé pienamente idonea ad essere a sua volta dimostrativa del ruolo rivestito dalla medesima e della consapevolezza del fatto compiuto.
Pertanto il ricorso va rigettato e l’imputata condannata al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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