19 aprile 2012

Affida i cani ad un canile privato ma non li ritira nel termine fissato? non c’è abbandono di animali!


Affidava due cani di sua proprietà presso un allevamento pensione, ma, nonostante le sollecitazioni, non li ritirava decorso il termine fissato. Il Gup del Tribunale di Como dichiarava la proprietaria dei cani colpevole del reato di abbandono di animali ex art. 727 c.p.  e la condannava alla pena di 2.000,00 di ammenda. In particolare, il Giudice osservava che il fatto integrava il reato di abbandono di animali perché i cani erano stati affidati ad un canile privato e non ad un canile municipale, quindi avrebbero potuto essere privati delle necessarie cure e custodia.

L’imputata proponeva ricorso per cassazione, poiché, secondo un principio affermato dalla giurisprudenza non si verifica abbandono di animali, e non è integrato il relativo reato, qualora i cani siano affidati ad un canile. E tanto deve riguardare sia le strutture pubbliche sia quelle private, perché anche in queste ultime sono garantite, per contratto, la cura e la custodia.

La Corte di Cassazione, con sentenza del 10 aprile 2012, n. 13338, accogliendo il ricorso dell’imputata, ha rilevato che l’abbandono previsto e sanzionato dall’ art. 727 cod. pen. deve ravvisarsi qualora l’animale, del quale l’agente abbia potere di disposizione, venga sottratto anche per mera colpa alle prestazioni idonee ad assicurare il rispetto delle esigenze psicofisiche specifiche di ogni animale, con la conseguenza che lo stesso si trovi sprovvisto di custodia e cura ed esposto a pericolo per la sua incolumità.

E’ evidente che questa situazione di abbandono non può ravvisarsi nel solo comportamento del proprietario che affidi il suo cane ad una struttura o allevamento privato, che, sulla base di une specifico contratto oneroso, assuma verso il proprietario l’obbligazione di custodire e curare l’animale e di evitare i pericoli per la sua incolumità, provvedendo anche, in caso di bisogno, alle necessarie prestazioni sanitarie ed ai mezzi terapeutici.

Né un comportamento di abbandono - nel senso indicato dalla norma incriminatrice - può ravvisarsi di per sé nel solo fatto di avere sospeso il pagamento del corrispettivo o nel non avere ritirato il cane, perché ciò configura appunto un inadempimento contrattuale ma non autorizza certamente la struttura o il canile affidatario ad abbandonare il cane a se stesso, ad interromperne la cura e la custodia o, addirittura, a sopprimerlo, comportamenti questi che, del resto, potrebbero a loro volta integrare il reato a carico del responsabile del canile. Costui, infatti, in una ipotesi del genere, oltre ad agire civilmente per il recupero del suo credito, potrà legalmente liberarsi del cane solo con le procedure previste dalla legge per l’affidamento dell’animale ad una struttura pubblica.

Ne deriva che il proprietario che abbia affidato il cane ad un canile privato che si sia contrattualmente obbligato alla sua cura e custodia, potrà eventualmente rispondere di abbandono nel caso di sospensione dei pagamenti o di mancato ritiro solo quando sia concretamente prevedibile - per l’inaffidabilità o la mancanza di professionalità del canile affidatario - che questa situazione determini l’abbandono del cane da parte del canile.

Nel caso di specie, secondo il Collegio, non risulta dalla sentenza impugnata alcun elemento da cui possa ritenersi provata una situazione di questo genere ed anzi sembra che la stessa debba essere esclusa in quanto non risulta che il titolare del canile, che aveva sporto la denuncia, sia stato a sua volta incriminato per il reato di cui all’art. 727 cod. pen., dal che deve desumersi che in concreto i due cani non erano stati abbandonati.


Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, 10 aprile 2012, n. 13338

Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe il Gup del tribunale di Como dichiarò R.N. colpevole del reato di cui all’art. 727 cod. pen. per avere abbandonato presso un allevamento pensione cui li aveva affidati due cani, in quanto, nonostante le sollecitazioni, non li aveva ritirati decorso il termine fissato, e la condannò alla pena di € 2.000,00 di ammenda. Osservò il giudice che il fatto integrava il reato contestato perché i cani erano stati affidati ad un canile privato e non ad un canile municipale, quindi avrebbero potuto essere privati delle necessarie cura e custodia.
L’imputata, a mezzo dell’avv. D.D., propone ricorso per cassazione - erroneamente qualificato come appello - deducendo che il fatto non integra il reato contestato. Osserva in particolare che il principio, affermato dalla giurisprudenza, che non si verifica un abbandono di animali e non è integrato il relativo reato quando i cani sono affidati ad un canile, deve riguardare sia le strutture pubbliche sia quelle private, perché anche in queste ultime sono garantite, per contratto, la cura e la custodia.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato perché la vicenda in esame riguarda in realtà solo una ipotesi di inadempimento contrattuale tra privati e perché la sentenza impugnata è frutto di una interpretazione distorta ed erronea della giurisprudenza di questa Corte.
Nella specie è stato accertato che l’imputata aveva affidato due cani di sua proprietà presso una struttura privata, aveva pagato le prime mensilità contrattualmente previste ed aveva sottoscritto apposita clausola contrattuale con la quale autorizzava il canile, in caso di bisogno, ad intervenire e ad anticipare le spese per le prestazioni ed i mezzi terapeutici. Era poi accaduto che l’imputata aveva sospeso i pagamenti e non aveva risposto alle sollecitazioni di ritirare il cane del canile, il cui responsabile la aveva quindi denunciata per il reato in questione.
Ora, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’abbandono previsto e sanzionato dall’art. 727 cod. pen. deve ravvisarsi quando l’animale, del quale l’agente abbia potere di disposizione, venga sottratto anche per mera colpa alle prestazioni idonee ad assicurare il rispetto delle esigenze psicofisiche specifiche di ogni animale, con la conseguenza che lo stesso si trovi sprovvisto di custodia e cura ed esposto a pericolo per la sua incolumità. E’ evidente che questa situazione di abbandono non può ravvisarsi nel solo comportamento del proprietario che affidi il suo cane ad una struttura o allevamento privato, il quale, sulla base di une specifico contratto oneroso, assuma verso il proprietario l’obbligazione di custodire e curare l’animale e di evitare i pericoli per la sua incolumità, provvedendo anche, in caso di bisogno, alle necessarie prestazioni sanitarie ed ai mezzi terapeutici. Né un comportamento di abbandono - nel senso indicato dalla norma incriminatrice - può ravvisarsi di per sé nel solo fatto di avere sospeso il pagamento del corrispettivo o nel non avere ritirato il cane, perché ciò configura appunto un inadempimento contrattuale ma non autorizza certamente la struttura o il canile affidatario ad abbandonare il cane a se stesso, ad interromperne la cura e la custodia o, addirittura, a sopprimerlo, comportamenti questi che, del resto, potrebbero a loro volta integrare il reato a carico del responsabile del canile. Costui, infatti, in una ipotesi del genere, oltre ad agire civilmente per il recupero del suo credito, potrà legalmente liberarsi del cane solo con le procedure previste dalla legge per l’affidamento dell’animale ad una struttura pubblica. Ne deriva che il proprietario che abbia affidato il cane ad un canile privato che si sia contrattualmente obbligato alla sua cura e custodia, potrà eventualmente rispondere di abbandono nel caso di sospensione dei pagamenti o di mancato ritiro solo quando sia concretamente prevedibile - per l’inaffidabilità o la mancanza di professionalità del canile affidatario - che questa situazione determini l’abbandono del cane da parte del canile. Nel caso di specie, però, non risulta dalla sentenza impugnata alcun elemento da cui possa ritenersi provata una situazione di questo genere ed anzi sembra che la stessa debba essere esclusa in quanto non risulta che il titolare del canile, che aveva sporto la denuncia, sia stato a sua volta incriminato per il reato di cui all’art. 727 cod. pen., dal che deve desumersi che in concreto i due cani non erano stati abbandonati.
In questo senso è la concorde giurisprudenza di questa Corte, la quale ha sempre ritenuto che deve escludersi la configurabilità del reato di abbandono di animali in, caso di mancato ritiro di un cane dal canile cui era stato in precedenza affidato dal proprietario (Sez. III, 21.2.2008, n. 14421, Bellino, n. 239969) o in caso di soggetto che abbia consegnato il suo cane ad un canile comunale dichiarando falsamente che era randagio (Sez. III, 5.7 2001, n. 34396, Menchi, n. 220105).
Entrambe queste decisioni si riferiscono a casi di cani affidati ad un canile municipale e mettono in rilievo il fatto che gli animali ricoverati presso le strutture comunali non possono essere soppressi né destinati alla sperimentazione e agli stessi, nell’attesa della cessione a privati, vengono assicurate le necessarie prestazioni di cura e custodia. Il giudice a quo ha quindi ritenuto che la stessa soluzione non potesse applicarsi al caso in esame perché nella specie il cane era stato affidato ad una struttura privata e non ad un canile municipale. E’ però evidente che la ratio decidendi sulla quale si basano le suddette decisioni non si fonda certamente sul fatto che si trattava di canile municipale e non di canile privato bensì sul fatto che non poteva concretare abbandono la consegna del cane o il suo mancato ritiro da un luogo nel quale l’animale poteva ricevere le necessarie prestazioni di cura e custodia. Il fatto che nella specie si trattasse di canile privato era quindi irrilevante, a meno che non risultasse che tale canile non assicurava la necessaria cura e custodia e che di ciò l’imputata fosse stata consapevole o potesse essere consapevole con l’ordinaria diligenza.
In conclusione, non essendo ravvisabile nei fatti emergenti dalla sentenza impugnata alcuna ipotesi di abbandono del cane, la sentenza impugnata deve, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Depositata in Cancelleria il 10.04.2012

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