17 marzo 2012

Cassazione, 1 marzo 2012, n. 3230 marito tace la sua impotenza, la moglie lo tradisce…a chi è addebitabile la separazione?


La moglie proponeva domanda di separazione dal coniuge, con addebito a quest’ultimo per averle taciuto, sino ad un anno e mezzo dopo le nozze, la propria impotentia generandi. Il marito, dal canto suo, chiedeva che la separazione fosse addebitata alla moglie, che lo aveva tradito con altro uomo. Il Tribunale di Firenze, all’esito del giudizio, accoglieva la domanda della signora e addebitava la separazione al marito.

La Corte d’Appello di Firenze, investita del gravame del soccombente, ribaltava la decisione di primo grado, addebitando la separazione alla moglie a causa del suo adulterio e dell’incertezza, di contro, se il marito avesse taciuto o meno la propria incapacità di procreare.

La Corte di Cassazione, tuttavia, cassava la sentenza, in quanto i giudici di merito non avevano dato peso alla mancata risposta dell’uomo all’interrogatorio formale, nonché ad alcune testimonianze, e perché avevano, di converso, valorizzato eccessivamente l’adulterio della moglie in sé considerato, senza indagarne la decisività ai fini della dissoluzione del legame fra i coniugi. La Corte d’Appello, quale giudice di rinvio, tornava sui suoi passi e rigettava, quindi, l’appello, confermando la sentenza di primo grado con l’addebito della separazione al marito.

Ma la questione torna nuovamente all’attenzione del Collegio, investito del ricorso del marito. La Cassazione, con sentenza n. 3230, depositata l’1 marzo 2012, rigettando il ricorso, ha osservato che correttamente i giudici d’appello, lungi dal minimizzare l’adulterio della moglie, hanno individuato la causa della crisi coniugale nel comportamento reticente assunto dal marito, il quale, come emerso nell’istruttoria espletata, aveva taciuto alla moglie, sino a un anno e mezzo dopo le nozze, la propria incapacità di procreare. La decisione, esente da censure e conforme a diritto secondo la Corte, si basa, quindi, sull’anteriorità della causa della frattura tra i coniugi, individuabile non già nell’adulterio, bensì nel silenzio sulla impotenza che ha provocato immediate ripercussioni sulla psiche della moglie, la quale, giunta al matrimonio non più giovanissima, desiderando una maternità non più procrastinabile vi ha dovuto definitivamente rinunciare, perché il tempo a sua disposizione è velocemente trascorso.
 
Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, 1 marzo 2012, n. 3230

Svolgimento del processo
Con ricorso del 6 agosto 1997 la sig.ra C.F. propose davanti al Tribunale di Firenze domanda di separazione dal coniuge, Dott. D.N.G.Z. , con addebito a quest’ultimo per averle, tra l’altro, taciuto la propria impotentia generandi. Il convenuto si costituì e chiese che la separazione fosse invece addebitata alla moglie, che lo aveva tradito con un altro uomo.
Il Tribunale accolse la domanda della sig.ra F. e pronunciò la separazione con addebito al marito, che condannò al pagamento di un assegno di L. 900,00 mensili.
Sul gravame del soccombente la Corte d’appello di Firenze ribaltò la decisione di primo grado, addebitando la separazione alla moglie a causa del suo pacifico adulterio e dell’incertezza, di contro, se il marito le avesse effettivamente taciuto la propria incapacità di procreare.
La Corte di cassazione, su ricorso della sig.ra F. , cassò la sentenza di appello perché, ai fini della prova che solo dopo un anno e mezzo dal matrimonio il marito aveva informato la moglie della propria impotentia generandi, non aveva dato peso alla mancata risposta del primo all’interrogatorio formale, nonché ad alcune testimonianze in quanto testimonianze de relato, e perché aveva, di converso, valorizzato eccessivamente l’adulterio della moglie in sé considerato, senza indagarne la decisività ai fini della dissoluzione del legame fra i coniugi.
La stessa Corte di Firenze, quale giudice di rinvio, ha quindi nuovamente ribaltato il verdetto, rigettando l’appello e dunque confermando la decisione di primo grado con l’addebito della separazione al marito e la liquidazione dell’assegno in favore della moglie nell’importo sopra indicatoli Dott. G.Z. ha proposto ricorso per cassazione con sei motivi di censura. La sig.ra F. ha resistito con controricorso contenente anche ricorso incidentale condizionato per un solo motivo.
Motivi della decisione
1. - Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione degli artt. 384, 394 e 345 c.p.c., nonché vizio di motivazione. Viene censurata la mancata assunzione di due testi di prova contraria - i sigg.ri Lu.Zu. e Ma.Za. - sulla circostanza che il marito avesse taciuto alla moglie la propria incapacità di procreare: testi ammessi ma poi non escussi dal Tribunale e quindi riproposti dall’appellante.
La Corte di rinvio non ne ha, a sua volta, ammesso l’assunzione ritenendo (per quanto qui rileva): a) che ciò esulasse dal mandato conferitole con la sentenza rescindente; b) che spetta al giudice, ai sensi dell’art. 209 c.p.c., valutare la necessità e opportunità di sentire i testi indicati dalle parti, e nella specie essa riteneva che il materiale probatorio già acquisito fosse più che sufficiente, essendo state sul punto sentite la madre e la sorella dell’appellante; c) che la richiesta di sentire quei due testi formulata nel giudizio di rinvio fosse inammissibile per non essere stata in precedenza riproposta nelle conclusioni finali in grado di appello dopo che la Corte aveva deciso, con ordinanza, di non ammettere la loro testimonianza; d) che la medesima richiesta non era stata neppure riproposta dal G.Z. con ricorso incidentale nel precedente giudizio di cassazione introdotto dalla sig.ra F.
Il ricorrente, corrispondentemente: aa) contesta che la sentenza rescindente escludesse la possibilità di riaprire l’istruttoria, perché altrimenti la Corte di Cassazione avrebbe deciso la causa nel merito; bb) critica la motivazione della superfluità delle due testimonianze esibita dalla sentenza di rinvio; cc) osserva che, non avendo egli precisato le proprie conclusioni finali nel giudizio di appello, dovevano ritenersi riproposte le conclusioni rassegnate con l’atto di appello, contenenti appunto la richiesta istruttoria in questione; dd) nega che egli avesse l’onere di proporre ricorso incidentale nel precedente giudizio di cassazione.
1.1. - La sentenza impugnata contiene, sul punto in discussione, come si è visto, quattro distinte ed autonome rationes decidendi.
La seconda di esse (sub lett. b) è censurata in maniera inammissibile.
Il ricorrente in proposito osserva: 1) che il giudice di rinvio avrebbe dovuto esprimere le proprie valutazioni sull’ammissibilità e rilevanza della prova e non rifarsi alle valutazioni dei giudici di merito che lo avevano preceduto, come invece aveva fatto la Corte di Firenze, peraltro non considerando che non era vero che il Tribunale non aveva ammesso i due testi in questione (i quali, invece, erano stati ammessi ma poi non escussi), né considerando che la non ammissione dei medesimi testi in appello era giustificata dal fatto che la Corte aveva deciso in senso opposto al Tribunale e che, in ogni caso, la sua decisione era stata poi cassata; 2) che, se è vero che il giudice può chiudere l’istruttoria, ai sensi dell’art. 209 c.p.c., quando ritenga raggiunta la prova, è pur vero che tale valutazione discrezionale è soggetta a gravame, e nell’atto di appello era stata appunto richiesta l’escussione dei due testi in questione, sostenendosi l’erroneità delle valutazioni del primo giudice sulla circostanza oggetto di prova e la necessità di integrare l’istruttoria con quei testi ammessi e non interrogati; inoltre “l’espressione codicistica (quando ravvisi superflua per i risultati già raggiunti la ulteriore assunzione) poteva applicarsi, quanto meno, dopo aver consentito a entrambe le parti di sentire i testimoni indotti. Ricordiamo, al riguardo, che la parte attrice ha sentito quattro testi, nel mentre la parte convenuta ne ha sentiti soltanto due”.
La prima osservazione è inammissibile perché non corrisponde alla ratio decidendi. Non è affatto vero che la Corte di rinvio si sia limitata a rinviare alla valutazione già espressa di giudici di primo e secondo grado; vero è, invece, che essa, pur sottolineando le valutazioni dei giudici di primo e secondo grado, non si è affatto sottratta, poi, al dovere di esprimere un suo autonomo giudizio, avendo invece affermato che il materiale probatorio già acquisito era sufficiente essendo state sentite sul punto la madre e la sorella dell’appellante-La seconda osservazione è inammissibile perché - a tacer d’altro - ancora una volta non viene affrontata quella ratio, ma si propongono temi irrilevanti (come la ovvia sussistenza di una richiesta dell’appellante di integrare l’istruttioria svolta in primo grado) od oscuri (come nella seconda parte della censura in esame, sopra riportata testualmente, della quale è evidente l’inconcludenza, non essendo dato di cogliere il senso di un arresto dell’assunzione di ulteriori mezzi di prova, per superfluità, che venga disposto dopo l’assunzione degli stessi).
L’inammissibilità della censura di tale ratio decidendi comporta la conseguente inammissibilità, per difetto di interesse, delle censure riguardanti le restanti rationes, potendo comunque la sentenza reggersi su quella non demolita dal ricorso (giurisp. costante: cfr., fra le più recenti, Cass. 12976/2011, 12372/2006, 13956/2005).
2. - Con il secondo motivo del ricorso principale, denunciando vizio di motivazione, si censura l’accertamento che il marito aveva taciuto alla moglie, sino a un anno e mezzo dopo le nozze, la sua incapacità di procreare.
La sentenza impugnata fonda tale accertamento sulla mancata risposta del convenuto all’interrogatorio formale richiesto dall’attrice, non giustificabile con gli impegni professionali addotti dall’interessato, data l’importanza dell’atto giudiziario programmato da mesi, e sulle testimonianze di tre amici di famiglia -concordi nel dichiarare di aver appreso la circostanza e di aver visto piangere per tale ragione la sig.ra F. , che si vedeva negata la prospettiva della maternità - e della madre della stessa; mentre i testi di parte convenuta - la madre e le sorella del Dott. G.Z. - avevano espresso più che altro supposizioni basate sull’affetto per il loro congiunto, che non potevano superare le certezze offerte dai primi tre testi, indifferenti, la valenza probatoria delle cui dichiarazioni de relato era stata espressamente ribadita dalla Corte di cassazione nella sentenza rescindente.
Il ricorrente obbietta:
a) che le testimonianze de relato sono, si, ammesse dalla giurisprudenza di legittimità in tema di comportamenti intimi e riservati delle parti, ma la medesima giurisprudenza ha cura di sottolineare la necessità che il giudice motivi sulla sussistenza di elementi di riscontro intrinseci o estrinseci, mentre l’unico di tali elementi effettivamente addotto dal giudice di rinvio - la mancata risposta del G.Z. all’interrogatorio formale - era inidoneo, sia perché, se la Corte di cassazione avesse ritenuto determinante tale silenzio, avrebbe senz’altro deciso la causa nel merito senza disporre il giudizio di rinvio, sia per la gratuità dell’affermazione della Corte sulla maggiore importanza della separazione rispetto al congresso di medicina cui egli doveva partecipare quale relatore;
b) che la Corte di rinvio non ha considerato che egli aveva richiesto di provare per testi di avere, invece, informato la moglie della propria impotenza prima del matrimonio e “se è vero che la mancata allegazione di prove contrarie è elemento da valutarsi come conferma della mancata risposta, l’aver espressamente negato la circostanza dedotta nell’interrogatorio, indicando anche prove al riguardo, rende impossibile dare valenza negativa alla mancata comparizione”;
c) che se la moglie avesse appreso dell’impotenza del marito soltanto un anno e mezzo dopo le nozze, difficilmente avrebbe atteso ancora un altro anno e mezzo per chiedere la separazione, che invece si era risolta a domandare soltanto dopo che era stato scoperto il suo adulterio; e del resto è abbastanza probabile che i due coniugi avessero fra loro parlato dell’impotenza di lui anche prima delle nozze, visto che si erano frequentati per circa un anno.
Il motivo di ricorso si conclude con una ulteriore censura, rivolta all’affermazione della Corte di rinvio secondo cui il Dott. G.Z. aveva “nascosto fino all’ultimo alla fidanzata che egli [aveva] alle spalle un divorzio, così da frustrare la aspettativa (comune alla maggior parte delle donne, per la verità) di un bel matrimonio in chiesa con l’abito bianco”.
2.1. - È opportuno sgomberare subito il campo da quest’ultima censura, inammissibile per la decisiva ragione (riferita, per la verità, dallo stesso ricorrente, che però non ne trae le dovute conclusioni) che la Corte di merito ha espressamente dichiarato di considerare la circostanza “irrilevante” perché la sig.ra F. “aveva accettato la situazione” sposando ugualmente il Dott. G.Z.
Anche le censure precedenti, peraltro, sono inammissibili.
Quella sub a) urta, infatti, contro la considerazione che la precedente sentenza di questa Corte non avrebbe potuto contenere una decisione nel merito ai sensi dell’art. 384, primo comma ult., parte, c.p.c., essendo necessario un nuovo accertamento di fatto sulla sussistenza del mendacio del marito e sulla sua efficienza causale nella rottura tra i coniugi, anche alla luce del comportamento della moglie; per il resto la censura si riduce a una pura e semplice critica di merito della valutazione, riservata al giudice di rinvio e certamente non illegittima, secondo cui il programmato impegno in sede giudiziaria non era secondo al sopraggiunto impegno professionale della parte chiamata a rendere l’interrogatorio.
Del pari in semplici critiche di merito si risolvono le censure riferite sub b) (se è indubbiamente esatto che la mancata allegazione di prove contrarie conferma la valenza ammissiva della mancata risposta all’interrogatorio, non è affatto vero il reciproco, come invece ritiene il ricorrente) e sub c).
3. - Con il terzo motivo del ricorso principale, denunciando violazione degli artt. 151 e 143 c.c. e vizio di motivazione, si censura la valutazione della Corte d’appello sull’efficienza causale del comportamento addebitato al marito - l’aver taciuto la propria incapacità a generare - nella rottura del legame tra i coniugi. Il ricorrente esclude che tale comportamento fosse stata la causa scatenante della separazione, che la sig.ra F. si era risolta a chiedere soltanto un anno e mezzo dopo la scoperta del fatto.
3.1. - Anche tale motivo, risolvendosi in una critica di merito, è inammissibile.
4. - Del quarto e del quinto motivo, con cui nuovamente si denuncia violazione degli artt. 151 e 143 c.c. e vizio di motivazione, è opportuno l’esame congiunto, attesa la loro connessione.
4.1. - Il quarto ha ad oggetto l’efficienza causale dell’adulterio della moglie nella rottura del rapporto tra i coniugi. Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello ne abbia minimizzato l’importanza sul rilievo che dopo quell’unico episodio i coniugi “continuarono a vivere alquanto normalmente, per cui si deve ritenere il fatto assorbito nella dinamica del rapporto coniugale”: affermazione ingiustificata sia perché dopo tale episodio, verificatosi nell’ottobre 1996 e culminato in un violento litigio con intervento della polizia e seguito da altri litigi, i coniugi si separarono di fatto nel febbraio dell’anno successivo, sia perché l’unicità di quell’episodio è irrilevante, date le modalità del medesimo (descritte in ricorso).
4.2. - Il quinto motivo ha ad oggetto la comparazione dei comportamenti dei due coniugi, sulla quale si denuncia l’assoluto difetto di motivazione da parte del giudice di rinvio e si ribadisce quanto già osservato anche con gli altri motivi di ricorso sull’inefficienza - o mancanza di prova dell’efficienza - causale del mendacio del marito e la decisività, per converso, dell’adulterio della moglie.
4.1. - Entrambi i motivi sono inammissibili.
Giova premettere la ratio della decisione impugnata, la quale, più che sulla minimizzazione dell’adulterio della moglie, si basa sull’anteriorità ad esso della frattura tra i coniugi, “in un matrimonio partito subito male per le bugie di lui”, dovuta al “grande e definitivo rilievo” dell’”effetto che il silenzio sulla impotenza ha provocato sulla psiche della moglie”, la quale, “giunta al matrimonio non più giovanissima, desiderando una maternità non più procrastinabile [...] vi ha dovuto definitivamente rinunciare, perché il tempo a sua disposizione è velocemente trascorso…”.
Dunque non è esatto che la Corte si sia sottratta al dovere di motivare sulla causa della rottura alla luce del comportamento di entrambi i coniugi. Per il resto, non può che nuovamente respingersi il tentativo del ricorrente di trascinare questa Corte sul terreno delle questioni di puro merito.
5. - Con il sesto motivo del ricorso principale si denuncia violazione degli artt. 112, 132 e 161 c.p.c. Il ricorrente osserva che con l’atto di appello aveva denunciato la nullità della sentenza di primo grado per omessa trascrizione delle conclusioni del convenuto e omessa pronuncia sulla sua domanda riconvenzionale di addebito della separazione alla moglie; che la questione non era stata poi riproposta nel giudizio di cassazione perché la Corte d’appello aveva accolto il gravame; che il giudice di rinvio aveva, su quel motivo di appello, statuito che il Tribunale, accogliendo la domanda della moglie, aveva implicitamente respinto la domanda del marito. Lamenta, quindi, che la Corte di rinvio, limitandosi a confermare la sentenza di primo grado, abbia “praticamente convalidato una sentenza nulla”, attesa l’erroneità dell’affermazione dell’implicito rigetto della domanda riconvenzionale per effetto dell’accoglimento della domanda principale: fra le contrapposte domande dei coniugi di addebito della separazione, infatti, non sussiste rapporto di alternatività, ben potendo l’addebito gravare su entrambi.
5.1. - Anche quest’ultimo motivo è inammissibile.
La dedotta ragione di nullità della sentenza di primo grado non rientra fra quelle per le quali si impone, ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c., la rimessione della causa al giudice di primo grado. Il giudice d’appello - e dunque il giudice di rinvio - aveva il dovere di pronunciare comunque nel merito della domanda asseritamente trascurata; e tanto ha fatto, nella specie, la Corte di rinvio, che ha chiaramente e motivatamente escluso l’addebitabilità della separazione alla sig.ra F. .
6. - Il ricorso principale va dunque dichiarato inammissibile attesa l’inammissibilità di tutti i suoi motivi.
Resta conseguentemente assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale ed assorbito il ricorso incidentale, e condanna il ricorrente principale alle spese processuali, liquidate in Euro 2.200,00, di cui 2.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
Depositata in Cancelleria il 01.03.2012

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