16 febbraio 2012

Cassazione, 26 gennaio 2012, n. 3240 impediscono i lavori di scavo della rete fognaria sul proprio terreno, non è esercizio arbitrario delle proprie ragioni


La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3240 depositata il 26 gennaio 2012, ha precisato che non costituisce reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex art. 393 c.p. la condotta di chi ostacoli l’esecuzione di alcuni lavori di scavo sul proprio terreno, ritenendo leso il diritto di proprietà. 

In particolare, nel caso sottoposto all'attenzione della Suprema Corte, alcuni soggetti si erano posizionati dinanzi alla macchina scavatrice al fine di impedire la prosecuzione, su una porzione di strada di loro proprietà, di alcuni lavori di scavo per l’allaccio alla rete fognaria ed idrica. Dagli elementi fattuali assunti, era emerso che l’opera, commissionata da alcuni vicini, non era stata preventivata. Sulla scorta di tale circostanza, la reazione difensiva posta in essere, ossia il frapporsi all'esecuzione dei lavori, non può ritenersi "violenza illecita" ai fini del reato ex art. 393 c.p., in quanto giustificata, nella convinzione soggettiva degli imputati, dalla necessità di scongiurare, in quel determinato contesto, il consolidarsi della nuova situazione, percepita come illegittima e non chiara nei suoi ulteriori sviluppi.

  Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, 26 gennaio 2012, n. 3240
 
Fatto e diritto1. Il Tribunale di L’Aquila, con sentenza 1/6/2005, tra l’altro, dichiarava R.M., D.M. e G..F. colpevoli del reato di violenza privata (capo a) - per avere, in concorso tra loro, impedito, posizionandosi dinanzi alla macchina operatrice, la prosecuzione dei lavori di scavo per l’allaccio alla rete fognaria ed idrica, eseguiti da L.Q. su incarico di R.E. e G.B. il (…) - e li condannava, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, a pena ritenuta di giustizia e al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.
2. A seguito di gravame proposto dagli imputati, la Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza 13/5/2010, riformando in parte la decisione di primo grado, che confermava nel resto, qualificava il fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex art. 393 cod. pen. e rimodulava il trattamento sanzionatorio con riferimento a tale illecito.
Il Giudice distrettuale riteneva che la condotta tenuta dagli imputati, ritenutisi lesi nel loro diritto di comproprietà della particella interessata dai lavori di scavo e sede della strada attraverso la quale soltanto era possibile accedere alla loro abitazione, era riconducibile nello schema dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non rilevando “la contestualità della pretesa lesione, che non escludeva l’eventuale possesso degli imputati, trattandosi di lavori di scavo che prevedevano il ripristino della antecedente situazione di fatto”.
3. Hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, deducendo la violazione degli artt. 52 e 393 cod. pen., nonché la carenza e la manifesta illogicità della motivazione, per non avere la Corte di merito considerato che la condotta da loro tenuta era stata determinata dalla necessità di tutelare, nell’immediatezza, il loro diritto di comproprietà e di compossesso della particella di terreno interessata dai lavori, peraltro neppure preannunciati, e a non vedersi conseguentemente ostacolato l’accesso alla loro abitazione.
4. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
Osserva la Corte che, per quello che si evince dalla sentenza impugnata, i lavori di scavo per l’allaccio alla rete idrica e fognaria commissionati dalle parti civili interessarono un appezzamento di terreno sul quale gli imputati vantavano il diritto di comproprietà e sul quale insisteva l’unica strada di accesso all’abitazione dei medesimi, che - peraltro - non erano stati preavvertiti della esecuzione dei lavori.
Ciò posto, non può ignorarsi che gli imputati, posti dinanzi a tale situazione per così come al momento appariva, avvertirono soggettivamente una lesione o comunque una turbativa dei loro diritti e posero in essere una immediata reazione difensiva, impedendo al manovratore della macchina operatrice di proseguire ulteriormente nei lavori di scavo e sollecitando contestualmente l’intervento sul posto dei Carabinieri. Tale reazione difensiva non può ritenersi violenza illecita ai fini del reato di ragion fattasi, in quanto giustificata, nella convinzione soggettiva degli imputati, dalla necessità di scongiurare, in quel determinato contesto, il consolidarsi della nuova situazione, percepita come illegittima e non chiara nei suoi ulteriori sviluppi. La liceità, nella flagranza dello spoglio subito, della violenza manutentiva è desumibile sul piano della fattispecie penale di cui all’art. 393 cod. pen. dal termine “arbitrariamente” utilizzato dal legislatore, posto che, diversamente opinando, tale termine avrebbe un valore pleonastico.
5. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio, perché il fatto non costituisce reato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non costituisce reato.
Depositata in Cancelleria il 26.01.2012

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