24 gennaio 2012

Corte di Cassazione, sentenza del 17 gennaio 2012, n. 1387 la prostituta mostra le parti intime in strada? sono atti contrari alla pubblica decenza


Può costare caro mostrare le proprie parti intime nel bel mezzo di una strada. Ne sa qualcosa una prostituta che, in una via di Bologna, ed in pieno giorno, indossava abiti succinti e assumeva atteggiamenti tali da rendere visibili i glutei ed altro. Una condotta ritenuta, dal Giudice di Pace del capoluogo emiliano, sanzionabile ai sensi dell’art. 726 del codice penale, in quanto offensiva del comune sentimento del pudore. La pena? 800,00 euro di ammenda.

Ma la donna non si arrende e ricorre in Cassazione chiedendo l’annullamento del provvedimento. Con la sentenza n. 1387, del 17 gennaio 2012, la Terza Sezione della  Corte di Cassazione, ritenendo integrati, nel caso de quo, gli elementi costitutivi dell’ipotesi contravvenzionale di atti contrari alla pubblica decenza, prevista dal citato art. 726 c.p, ha rigettato il ricorso e condannato la donna al pagamento delle spese processuali.

Ma la sentenza in commento, oltre a strappare un sorriso, offre l’occasione di tracciare una linea di demarcazione tra il reato di “atti osceni” (art. 527 c.p.) e la meno grave contravvenzione di “atti contrari alla pubblica decenza” (art. 726 c.p.).

- Secondo un primo indirizzo interpretativo la distinzione si baserebbe su un criterio meramente quantitativo, e, quindi, sul diverso grado di intensità dell’offesa al pudore.

- Altra parte della giurisprudenza ritiene che la distinzione sia di tipo qualitativo, ossia è da intendersi “osceno” l’atto che attiene alla sessualità in senso stretto, mentre l’ambito della condotta contraria a pubblica decenza ha estensione maggiore, ricomprendente il complesso delle regole etico-sociali. Espressione di questo secondo indirizzo è il decisum di Cass., sez III, 16 febbraio 2000, in ossequio al quale: “Vanno qualificati come atti contrari alla pubblica decenza quelli che, a differenza degli atti osceni, non toccano la sfera degli interessi sessuali ma ledono semplicemente le regole etico sociali attinenti al normale riserbo ed alla elementare costumatezza, sì da produrre, se non anche disgusto, quanto meno disagio, fastidio e riprovazione, avuto riguardo ai comuni parametri di valutazione, rapportati allo specifico contesto ed alle particolari modalità di ogni fatto”.
 
Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, sentenza del 17 gennaio 2012, n. 1387

Svolgimento del processo
Il Giudice di Pace di Bologna, con sentenza emessa il 14/10/010, dichiarava L.A.D. colpevole del reato di cui all’art. 726 c.p. (come contestato in atti) e la condannava alla pena di € 800,00 di ammenda.
L’interessata proponeva ricorso per Cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, ex art. 606, lett. b) ed e) cpp.
In particolare la ricorrente esponeva che non ricorrevano gli elementi costitutivi del reato in esame, trattandosi di comportamento non in contrasto con i valori sociali di riferimento e relativi alla costumatezza dell’abbigliamento.
Tanto dedotto, la ricorrente chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata.
Il P.G. della Cassazione, nella pubblica udienza del 2/12/011, ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
Il ricorso è manifestamente infondato.
Il Giudice di pace di Bologna ha congruamente motivato tutti i punti fondamentali della decisione.
In particolare il giudice di merito, con un esame analitico, puntuale ed esaustivo delle risultanze processuali, ha accertato che L.A.D. (che esercitava l’attività di prostituzione) - nelle condizioni di tempo e di luogo come individuate in atti - sostava in ora diurna (ore 14.20 del 04/06/09) lungo la via pubblica (…) di Bologna, non solo indossando un abbigliamento molto succinto, ma assumendo posture comportamentali tali da rendere visibili a terzi parti intime /o riservate del proprio corpo, quali il pube ed i glutei.
Ricorrevano, pertanto, nella fattispecie gli elementi costitutivi, soggettivo ed oggettivo, del reato di cui all’art. 726 cp. Trattavasi, invero, di condotta contraria al sentimento di costumatezza così come inteso tuttora ed attualmente dalla comunità/collettività sociale.
Le censure dedotte nel ricorso sono generiche, perché meramente ripetitive di quanto esposto in sede di merito, già valutate esaustivamente dal Giudice di Pace di Bologna. Sono, altresì, infondate perché in contrasto con quanto accertato e congruamente motivato dal giudice di merito. Sono errate in diritto, perché non pertinenti al bene/interesse giuridicamente tutelato dalle norme di cui all’art. 726 cp.
Va dichiarato, pertanto, inammissibile il ricorso proposto da L.A.D. con condanna della stessa al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria che si determina in € 1.000,00.
P.Q.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Depositata in Cancelleria il 17.01.2012

Nessun commento:

Posta un commento