25 gennaio 2012

Corte di Cassazione, 20 gennaio 2012, n. 784 separazione dei coniugi: litigare per pochi euro può determinare la perdita dell’affidamento dei figli


La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 784 del 20 gennaio 2012, lancia un duro monito ai coniugi chi decidono di separarsi: a forza di farsi reciproca battaglia per poche centinaia di euro si rischia di perdere il bene più importante, ossia l’affidamento dei figli.

Andiamo con ordine. Il Tribunale di Catania pronunciava la separazione giudiziale dei coniugi, affidava il minore al padre, disponeva che la madre contribuisse al mantenimento del figlio per un importo di 150,00 euro mensili, ma, al contempo, prevedeva a carico del padre la corresponsione di un assegno di mantenimento di 150,00 euro in favore della moglie. Un inutile dare e avere, insomma.

La madre impugnava la sentenza. La Corte d’Appello di Catania, aumentava sì l’assegno in favore della stessa, portandolo a 300,00 euro,  ma andava oltre e affidava il minore ai servizi sociali del Comune di Acireale! Il motivo? Dalle risultanze della consulenza tecnica espletata sul figlio della coppia, era emerso che lo stesso, a seguito dell’affidamento al padre, aveva reciso ogni rapporto con la figura materna e ciò aveva comportato l’insorgenza di un disturbo psicopatologico, con immediati effetti sull’inserimento e rendimento scolastico. 

Il padre ricorreva, quindi, in Cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 155 c.c., in tal modo contestando l’affidamento del minore ai servizi sociali. Ma la Corte, condividendo l’iter argomentativo e motivazionale seguito dai giudici del merito, ha rigettato il ricorso. La nuova formulazione dell’art. 155 del codice civile, infatti, prevedendo al secondo comma il potere per il giudice di adottare “ogni altro provvedimento relativo alla prole”, implicitamente riconosce allo stesso, in presenza di situazioni di pregiudizio, la possibilità di affidare il minore a terzi e, quindi, anche ai servizi sociali.
 
Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza del 20 gennaio 2012, n. 784

Svolgimento del processo
Con sentenza in data 28-9-2007, il tribunale di Catania pronunciava la separazione giudiziale dei coniugi P. S. e L. F., rigettava le domande di reciproco addebito, affidava al padre il figlio minore G., disponeva che la P. contribuisse al mantenimento di questo per un importo di Euro 150,00 mensili; condannava il L. a corrispondere alla moglie assegno di mantenimento di Euro 150,00.
Proponeva appello la P. Costituitosi il contraddittorio, il L. chiedeva rigettarsi l’appello. Con sentenza 4-27/1/2010, la Corte di Appello di Catania accoglieva parzialmente l’appello, affidando il figlio delle parti al Comune di Acireale, elevando l’assegno di mantenimento per la moglie a carico del L. ad Euro 300,00 e confermando nel resto la sentenza impugnata.
ricorre per cassazione il L., sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso la P.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 155 c.c., e vizio di motivazione, in punto affidamento del figlio minore delle parti ai servizi sociali del comune di Acireale.
Il motivo appare infondato.
L’art. 155 c.c., nella formulazione previgente, prevedeva l’ipotesi di inidoneità di entrambi i genitori all’affidamento del figlio. Nulla dice al riguardo la norma novellata. La disciplina era sufficientemente articolata: ove non fosse opportuno che il figlio rimanesse con l’uno o l’altro genitore, per “gravi motivi” il giudice poteva “collocare” (non affidare) il minore presso una terza persona (un parente, ma non necessariamente) ovvero (quando non vi fossero parenti o altre persone idonee disposte ad occuparsi del minore) in istituto di educazione (la legge sul divorzio prevede che, in caso di temporanea impossibilità di affidamento ai genitori, il giudice possa disporre affidamento familiare, ex. art. 2 n. 184 del 1983, e la norma non ha subito variazioni).
In ogni caso il giudice della separazione doveva provvedere sulle modalità e misura del mantenimento dei figli da parte dei genitori, sulle visite, i periodi di permanenza presso l’uno o l’altro di essi e sui limiti all’esercizio della potestà.
È da ritenere tuttavia che, nonostante l’assenza, nella disciplina vigente, di una previsione specifica, il richiamo, ancorché generico, contenuto nell’art. 155, comma 2, c.c., ai provvedimenti che il giudice assuma per i figli “con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essi”, ma pure quello, più particolare, alle modalità con cui ciascun coniuge contribuisce alla “cura” e alla “educazione” dei figli, oltre che al loro mantenimento ed istruzione, indica la possibilità di collocare il figlio presso terzi, in caso di inidoneità genitoriale (al riguardo, conformemente, Cass. n. 19065 del 2008).
La legge sul divorzio precisa del resto, come si è detto (anche dopo la riforma del 2006), che può disporsi affidamento familiare ex art. 2 n. 184 del 1983, in caso di temporanea impossibilità di affidamento ai genitori (in stretto contatto, evidentemente, con l’azione del servizio sociale); tale previsione è sicuramente applicabile in via analogica alla separazione.
Ne deriva che quando entrambi i genitori non sono idonei all’affidamento (dovrebbe trattarsi appunto di una situazione assai grave) o quando essi stessi lo rifiutano, si deve provvedere al collocamento, possibilmente presso parenti.
Se non vi sono parenti oppure questi non sono idonei, sussiste la possibilità, come ipotesi del tutto residuale, onde evitare che il fanciullo si trovi in una situazione non dissimile da quella di abbandono, che costituisce il presupposto dell’adozione legittimante di collocamento del minore presso una terza persona e in un istituto di educazione, quale tipico intervento assistenziale.
Non sussistono pertanto, nella specie, per quanto si è detto, violazione alcuna di legge, né si ravvisa vizio di motivazione.
La sentenza impugnata, infatti, con motivazione adeguata e non illogica, fa proprie le risultanze della consulenza tecnica espletata nel grado: l’affidamento al padre ha comportato la totale interruzione dei rapporti con la madre ed ha provocato difficoltà di inserimento e rendimento scolastico del minore, la struttura della personalità di G. ha raggiunto i contorni di un disturbo psicopatologico. Il padre - continua il giudice a quo - si è sottratto ad un percorso psicoterapeutico nell’interesse del minore. Né, allo stato, appare praticabile un affidamento alla madre, stante l’atteggiamento di rifiuto da parte del figlio, cui sicuramente non è estranea la condotta del padre: così la sentenza impugnata. La soluzione ottimale, idonea a salvaguardare l’interesse del minore, con una normalizzazione delle sue relazioni con entrambi i genitori è -secondo il giudice a quo - l’allontanamento dai genitori del minore stesso e il suo inserimento temporaneo in idonea struttura, tramite intervento del Comune di Acireale.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 156 c.c. e vizio di motivazione, in punto assegno di mantenimento per la moglie.
Il motivo va dichiarato inammissibile.
L’odierno ricorrente non aveva impugnato la sentenza di primo grado circa il diritto all’assegno da parte della P. Avrebbe dovuto circoscrivere la sua censura al capo della pronuncia del giudice d’appello che ha elevato l’importo dell’assegno stesso. Al riguardo egli nulla dice, limitandosi ad affermare genericamente che la moglie non ha diritto all’assegno.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
A norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/03, in caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri atti identificativi delle parti, dei minori e dei parenti, in quanto imposto dalla legge.

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