2 gennaio 2012

Corte di Cassazione, 21 dicembre 2011, n. 47391 Prendere a calci un cane è reato



Con la pronuncia n. 47391 del 21 dicembre 2011, la Seconda Sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di danneggiamento di animali altrui ex art. 638 c.p. nei confronti di un uomo accusato di aver preso a calci il cane di una signora, costituitasi parte civile.
La condanna in primo grado era fondata sulla testimonianza resa dal marito della donna, avvalorata dalla certificazione del veterinario che aveva riscontrato una “dolorabilità” dell’animale “a livello del carpo sinistro e della zona mandibolare sinistra” e dalle parziali ammissioni dello stesso imputato.
Nel ricorso, l’uomo lamentava inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 638 c.p. poiché il cane non aveva riportato “deterioramenti”, ma una mera e del tutto presunta “dolorabilità”.
La Cassazione, rigettando il ricorso e confermando la condanna, ha rilevato che il concetto di deterioramento a cui fa riferimento l’art. 638 c.p. implica la sussistenza di un danno giuridicamente apprezzabile, a differenza della fattispecie prevista dall’art. 544 ter c.p. (Maltrattamento di animali) per la quale è necessario il verificarsi di una malattia atta a determinare un’alterazione anatomica o funzionale dell’organismo anche non definitiva. Le due fattispecie, pertanto, prevedono un diverso grado di aggressione al bene protetto.
Ma questa non è l’unica differenza poichè, stando a quanto sancito dalla Suprema Corte con  sentenza n. 24734/2010:
In tema di delitti contro il sentimento per gli animali, le nuove fattispecie di uccisione e maltrattamento di animali degli art. 544 bis e 544 ter c.p. si differenziano dalla fattispecie di uccisione o danneggiamento di animali altrui di cui all'art. 638 c.p. sia per la diversità del bene oggetto di tutela penale (proprietà privata nell'art. 638 c.p. e sentimento per gli animali nelle nuove fattispecie), sia per la diversità dell'elemento soggettivo, giacché nel solo art. 638 c.p. la consapevolezza dell'appartenenza dell'animale ad un terzo è elemento costitutivo del reato.”
Riepilogando:
544 ter c.p. è reato contro il sentimento degli animali;
esige, per la sua configurabilità, il verificarsi di una malattia atta a determinare un’alterazione anatomica o funzionale dell’organismo anche non definitiva;
Si configura come reato a dolo specifico, nel caso in cui la condotta lesiva dell'integrità e della vita dell'animale, che può consistere sia in un comportamento commissivo come omissivo, sia tenuta per crudeltà, e a dolo generico quando essa è tenuta, come nel caso in esame, senza necessità.
638 c.p. è reato contro il patrimonio (in cui il bene protetto è la proprietà dell’animale); 
 implica, sotto il profilo oggettivo, la sussistenza di un danno giuridicamente apprezzabile, mentre sotto il profilo soggettivo, necessita della consapevolezza dell'appartenenza dell'animale ad un terzo.

Corte di Cassazione, sez. II penale, 21 dicembre 2011, n. 47391
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 17 febbraio 2011, il Tribunale di Torino, 3^ sezione penale, confermava la sentenza del Giudice di Pace in sede appellata da (omissis), con la quale questi era stato dichiarato colpevole del reato di cui all’art. 638 c.p. per avere sbattuto a terra e preso a calci il cane di proprietà di (omissis), in Balagero il 19.7.2006 ed era stato condannato, riconosciute le attenuanti generiche, alla pena di duecento euro di multa nonché al risarcimento dei danni, liquidati in € 300,00, e alla rifusione delle spese in  favore della parte civile.
Il Tribunale riteneva fondata la prova della responsabilità sulla scorta della testimonianza di (omissis), marito della parte civile, avvalorata dalla certificazione del veterinario che aveva riscontrato “dolorabilità” del cane “a livello del carpo sinistro e della zona mandibolare sinistra” e dalle parziali ammissioni dello stesso imputato.
Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, che ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi: 
- inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in ordine all’art. 638 c.p. perché il cane non ha riportato alcun “deterioramento” ma una mera e del tutto presunta “dolorabilità”;
- difetto, carenza ed illogicità della motivazione per avere ritenuto attendibile la testimonianza di (omissis), nonostante questi fosse il marito della parte civile, già condannato per il delitto di minacce gravi nei confronti del (omissis), e per aver tratto argomenti dalla condotta di quest’ultimo che non aveva reagito alla veemente aggressione verbale del (omissis) che lo accusava di aver maltrattato il cane, condotta prudentemente serbata per evitare che essa degenerasse, senza tenere infine conto del dato processualmente dimostrato che il cane seguita a gradire le coccole del (omissis).
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è infondato, considerato che il concetto di deterioramento di cui all’art. 638 c.p. implica la sussistenza di un danno giuridicamente apprezzabile (mentre per le lesioni all’integrità fisica di cui all’art. 544 ter c.p. è necessario il verificarsi di una malattia atta a determinare un’alterazione anatomica o funzionale dell’organismo anche non definitiva; cfr. Cass. Sez. 2, 26.3-1.7.2010 n. 24734).
La sentenza impugnata ha fornito adeguata motivazione sul punto, senza che venisse dal ricorrente fornita specifica  doglianza, allorché ha osservato che la sintomatologia rilevata al momento della visita da parte del veterinario era dimostrativa di un processo patologico ancora in corso, come tale integrante “malattia” e quindi deterioramento (cfr. Cass. Sez. 5, 26.4-15.6.2010 n. 22781).
2. Il secondo motivo di ricorso è dedotto in maniera inammissibile, perché sottopone in questa sede questioni che attengono il merito, attraverso la proposizione di lettura alternativa la proposizione di lettura alternativa del medesimo materiale probatorio già esaminato dal Tribunale con motivazione che, in quanto non manifestamente illogica, non può essere oggetto di censura in questa sede.
L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato – per espressa volontà del  legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostenere il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.
Esula infatti dai poteri della corte di cassazione quello della “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva riservata al giudice del merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. S.U. 30.4/2.7.97 n. 6402, ric. Dessimone e altri; Cass. S.U. 24.9-10.12.2003 n. 47289, ric. Petrella).
3. Il ricorso deve in conseguenza essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Roma, 30 novembre 2011

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