21 gennaio 2012

Corte di Cassazione, 20 gennaio 2012, n. 785 no al mantenimento diretto dei figli in presenza di una forte conflittualità tra i genitori


La sentenza n. 785 del 20 gennaio 2012 della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione è particolarmente interessante, sia perché nega la riconoscibilità del c.d. “mantenimento diretto” qualora vi siano situazioni di conflittualità tra i genitori, sia perché, più in generale, offre all’operatore del diritto numerosi spunti di riflessione critica.

Al momento dell’entrata in vigore della Legge 8 febbraio 2006 n. 54, tanto si è discusso sull’introduzione del mantenimento diretto, ossia della possibilità, per ciascun genitore, di provvedere in via diretta al mantenimento dei figli, senza il riconoscimento di un assegno in capo al coniuge collocatario (o prevalentemente collocatario).
In realtà, a quasi cinque anni dalla sua introduzione, questa forma paritetica di soddisfacimento dei bisogni della prole è quasi mai applicata nelle aule dei Tribunali, seppure dal tenore letterale del novellato art. 155 c.c. sembrerebbe che tale opzione assurga al rango di regola generale. Infatti, il quarto comma della disposizione in parola, espressamente stabilisce che: “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito;” per poi successivamente prevedere che: “il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità”.

Quali sono le ragioni di questa impostazione interpretativa? In linea generale è ben radicata la tendenza a riconoscere l’assegno di mantenimento in favore dei figli ove la regolamentazione applicata nel caso concreto preveda un collocamento prevalente degli stessi presso uno dei genitori. Ed essendo, di fatto, quasi sempre riconosciuto il collocamento prevalente (solitamente presso la madre), ne consegue, come in una sorta di circolo vizioso, il mancato riconoscimento del mantenimento diretto!

Emblematica, in tal senso, è la sentenza della Corte di Cassazione, sez.I, n.18187 del 18 agosto 2006: “La recente L. n. 54 del 2006, recante disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli introduce il cd. principio della bigenitorialità, con ciò ovviamente privilegiando l'interesse "esistenziale" del minore e prescindendo, in particolare, sia dal rapporto patrimoniale tra i due ex coniugi, sia dagli aspetti economici riguardanti la vita del minore, autonomamente disciplinati dal comma 4 di detto art. 155 c.c. in cui è previsto che ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito e che "il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità", sulla base di vari parametri, tra cui "le risorse economiche di entrambi i genitori". È un'ulteriore e definitiva conferma che l'affidamento congiunto non può certo far venir meno l'obbligo patrimoniale di uno dei genitori a contribuire con la corresponsione di un assegno al mantenimento dei figli in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza. Ne consegue che censurabile è la decisione in esame là dove ha erroneamente fatto derivare, come conseguenza "automatica", dall'affidamento congiunto il principio che ciascuno dei genitori provvede in modo diretto ed autonomo alle esigenze dei figli”.

Tanto premesso, la sentenza della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione n. 785, depositata il 20 gennaio 2012, ponendosi in continuità con la seppur discutibile tendenza interpretativa sopra delineata e confermando il decisum della Corte di Appello di Catania, ha sostanzialmente negato al padre-ricorrente il riconoscimento del mantenimento diretto sulla scorta dell’accentuata litigiosità intercorrente tra i genitori. Secondo la Corte, nell’ambito della discrezionalità accordata al giudice dall’art. 155 c.c., è legittima la decisione di disporre il pagamento di un assegno in luogo del mantenimento diretto con la motivazione che un’accentuata litigiosità dei genitori è circostanza idonea a sollevare ulteriori conflitti in un contesto, quello familiare, che esige, viceversa, una condotta pienamente collaborativa.

A questo punto occorrerebbe domandarsi in quali casi può concretamente trovare applicazione il mantenimento diretto, posto che la conflittualità tra due coniugi che decidono di separarsi è, purtroppo, quasi sempre una costante. A voi le risposte…

Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, sentenza del 20 gennaio 2012, n.785

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 15-4-2008, (omissis) chiedeva modificarsi il regime di separazione personale consensuale dal marito (omissis) chiedendo un aumento dell’assegno di mantenimento per sé e per i figli.
Costituitosi il contraddittorio, il (omissis) chiedeva rigettarsi il ricorso e, in via riconvenzionale, l’affidamento condiviso dei figli, nonché il loro mantenimento diretto da parte di entrambi i coniugi.
Il Tribunale di Catania, con provvedimento del 5-12-2008, elevava l’assegno per la moglie, disponeva l’affidamento condiviso dei figli con mantenimento diretto da parte dei genitori, ed assegno perequativo per il (omissis) per l’importo di euro 1.500,00 mensili.
Proponeva reclamo la (omissis). Costituitosi il contraddittorio, il (omissis) ne richiedeva il rigetto e, in via incidentale, la revoca dell’assegno per la moglie e per i figli, che dovevano essere mantenuti direttamente da entrambi i genitori.
La Corte d’Appello di Catania, con provvedimento in data 9-15/3/2010, accoglieva il reclamo principale, revocando il mantenimento diretto dei figli, disponendo per essi assegno mensile di Euro 5.000,00 a carico del padre; rigettava il reclamo incidentale.
Ricorre per cassazione il (omissis), sulla base di dodici motivi illustrati con memoria.
Resiste, con controricorso la (omissis).
Motivi della decisione
Va innanzitutto rilevata l’invalidità della procura rilasciata dalla (omissis) al nuovo difensore avv. (omissis), in quanto apposta a margine della memoria per l’udienza, e quindi in un atto diverso da quelli tassativamente indicati nell’art. 83 c.p.c., nel testo vigente ratione temporis.
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 155 c.c., in punto revoca del contributo diretto per i figli; con il secondo, vizio di motivazione al riguardo; con il terzo, violazione ulteriore dell’art. 155 c.c., sulla quantificazione dell’assegno; con il quarto, vizio di motivazione al riguardo; con il quinto, violazione dell’art. 155 c.c., in relazione all’art. 148 c.c.; con il sesto, violazione degli artt. 2697 c.c., 115, 116 c.p.c., sulla revoca del contributo diretto.
I motivi possono essere trattati congiuntamente, essendo strettamente connessi. Essi appaiono infondati.
Come è noto, la l. 8 febbraio 2006, n. 54, ha introdotto la disciplina dell’affidamento condiviso.
Già la scelta del termine è significativa, rispetto all’espressione più tradizionale, contenuta nella legge di divorzio dopo la riforma del 1987, di “affidamento congiunto”: non solo affidamento ad entrambi, ma fondato sul pieno consenso di gestione, sulla condivisione, appunto. Ciò tuttavia non esclude che il minore possa essere prevalentemente collocato presso uno dei genitori, anche se l’altro dovrà avere ampia possibilità di vederlo e tenerlo con sé.
L’assunto del ricorrente secondo il quale con la riforma del 2006 il contributo diretto da parte di ciascuno dei genitori costituirebbe la regola, come conseguenza diretta dell’affido condiviso, non può essere accolto: ed invero l’art. 155 c.c. riformato, nello stesso secondo comma in cui prevede in via prioritaria “la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori”, dispone che il giudice fissi “altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento…”, così conferendo allo stesso giudice un’ampia discrezionalità, sempre ovviamente “con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale” della prole (v. sul punto Cass. 2006 n. 18187).
Inoltre il successivo comma 4 affida al giudice il potere di stabilire, “ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità”.
Della discrezionalità esercitata nell’escludere il contributo diretto la ordinanza impugnata ha fornito congrua motivazione, facendo riferimento all’accentuata litigiosità dei genitori, quale circostanza idonea a sollevare ulteriori conflitti in un contesto che al contrario esige una condotta pienamente collaborativa, e tale valutazione non può costituire oggetto di controllo in questa sede.
Dunque correttamente è stato revocato il regime di mantenimento diretto.
La Corte di Appello ha altresì rilevato, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento dei minori, la notevole sproporzione tra le condizioni economiche dei genitori (la (omissis) ha un reddito netto annuo di Euro 27.000,00, il Notaio (omissis) nel 2007 un reddito di Euro 268.558,00, sceso ad euro 86.000,00 nel 2008, con detrazione di spese deducibili per oltre Euro 300.000,00). Non si ravvisa al riguardo violazione dell’art. 148 c.c., il quale stabilisce che i genitori devono adempiere all’obbligo educativo, di istruzione e di mantenimento dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e capacità di lavoro professionale e casalingo.
Secondo giurisprudenza consolidata (per tutte, Cass. n. 11772 del 2010, n. 11538 del 2009), deve essere assicurato ai figli il tenore di vita di cui essi godevano durante la convivenza matrimoniale, ma rilevano gli incrementi di reddito di ciascuno dei genitori, se riferiti, come nella specie, all’attività che essi svolgevano durante la convivenza, rappresentandone il prevedibile sviluppo.
Del tutto privo di fondamento appare l’assunto del ricorrente secondo il quale non potrebbe configurarsi, in via generale, alcun prevedibile sviluppo per la carriera notarile; è evidente, al contrario, che l’esperienza acquisita, l’aumento dei clienti, ed anche, come nella specie, lo spostamento da una piccola località ad una città più grande, integrano “sviluppi prevedibili”. E a ciò fa evidentemente riferimento il Giudice a quo, elevando l’importo dell’assegno per i figli ad Euro 5.000,00.
Con i motivi settimo e ottavo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 156 c.c. e vizio di motivazione, in relazione all’assegno per il coniuge.
Anche tali motivi appaiono infondati.
Per giurisprudenza consolidata, l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge va raffrontata al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (tra le altre, Cass. n. 20582/10). Giurisprudenza altrettanto consolidata precisa che le attuali condizioni economiche delle parti possono costituire, in mancanza di ulteriori prove, elemento indicativo del pregresso tenore di vira della famiglia (tra le altre Cass. n. 16606/10).
Né va dimenticato che, in sede di modifica delle condizioni di separazione (o di divorzio), è necessario riferirsi ad elementi di novità rispetto al regime originario.
Come già si è detto trattando del mantenimento dei figli, si è notevolmente accresciuto il divario economico tra i coniugi, in relazione all’incremento dell’attività notarile del (omissis) già svolta durante la convivenza matrimoniale, che ne costituisce un prevedibile sviluppo. A tutto ciò si riferisce, con motivazione adeguata, il giudice a quo.
L’unico elemento di novità del (omissis) potrebbe essere costituito dalla dedotta convivenza more uxorio della (omissis) con un “facoltoso avvocato”. Ma di ciò – come precisa il giudice a quo – egli non ha fornito prova.
Palesemente infondato è il decimo motivo, attinente al vizio di motivazione, con riferimento al diverso parere del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello: è evidente che la sentenza impugnata, nella sua motivazione, ha manifestato contrario avviso rispetto alle conclusioni del P.G.; non era necessario che espressamente le contestasse.
Inammissibili infine i motivi undici e dodici, attinenti al regime delle spese processuali (violazione dell’art. 91 c.p.c. e vizi di motivazione). Non è censurabile il regime delle spese dettato dal giudice di merito, se sorretto da adeguata motivazione (per tutte, Cass. n. 13229 del 2011). Nella specie, il giudice a quo ha richiamato la sostanziale soccombenza del (omissis).
Conclusivamente, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per onorari ed euro 200,00 per esborsi oltre a spese generali ed accessori di legge.
A norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/03, in caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti dei minori e dei parenti, in quanto imposto dalla legge.
Roma, 26 settembre 2011
Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2012

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