7 maggio 2012

Contratto di locazione immobile da condonare: se il conduttore non può utilizzare l’immobile per l’uso pattuito sussiste inadempimento del locatore


La locatrice conveniva in giudizio i conduttori, esponendo di aver concesso in locazione agli stessi un immobile per il quale il Comune avrebbe dovuto approvare il condono edilizio e sul quale i convenuti avrebbero dovuto effettuare le opere di manutenzione ordinaria e straordinaria necessarie a renderlo idoneo alla pattuita destinazione di scuola di danza. Nel dettaglio, il contratto prevedeva che i conduttori erano autorizzati ad eseguire le suddette opere sino ad un limite di spesa preventivato e che, in caso di mancato condono edilizio, la locazione si sarebbe sciolta e il locatore avrebbe restituito ai conduttori la differenza tra le somme spese e quella parte di esse “compensate con i canoni locatizi”. Per tali ragioni, la locatrice, assumendo che non erano stati corrisposti i canoni dal marzo all’ottobre del 1998, chiedeva la convalida dello sfratto intimato per morosità ed ordinarsi il rilascio dell’immobile locato.

I convenuti si opponevano alla convalida dello sfratto chiedendo in via riconvenzionale dichiararsi risolto il contratto per grave inadempimento della locatrice la quale: aveva concesso in godimento un immobile privo dei requisiti di legge per ottenere le necessarie autorizzazioni amministrative; aveva pattuito la risoluzione del rapporto in caso di mancato condono edilizio; si era obbligata a restituire le somme spese non compensate con i canoni. I conduttori chiedevano, inoltre, la condanna della locatrice alla restituzione della somma di L. 60.000.000, ovvero di altra a titolo di indennità ex art. 1592 c.c. per i miglioramenti derivati all’immobile.

Il Tribunale rigettava la domanda principale e, accogliendo quella riconvenzionale, dichiarava la risoluzione del contratto per grave inadempimento della locatrice, con condanna della stessa al pagamento di una somma a titolo di indennità per i miglioramenti eseguiti dai conduttori.

La Corte d’Appello, investita del gravame della soccombente, rigettava l’impugnazione osservando che le parti erano a conoscenza che l’immobile doveva essere reso idoneo all’uso cui era destinato mediante l’esecuzione di lavori indispensabili; l’espresso riferimento in contratto alla necessità del condono, quale condizione per la ulteriore operatività del negozio, aveva indotto i conduttori a ritenere che l’approvazione del condono edilizio avrebbe consentito di destinare l’immobile a “scuola di danza e attività strettamente connesse”; la pratica di condono, avviata dalla locatrice anteriormente alla stipulazione della locazione, era stata, invece, diretta a rendere il capannone idoneo alla destinazione di “bocciodromo”; la mancata autorizzazione di condono era stata motivata dal comune per il fatto che le eseguite opere di ristrutturazione avevano variato la prevista destinazione d’uso; al momento della stipulazione della locazione la M. T. era del tutto consapevole che, quand’anche fosse stato approvato il condono richiesto (bocciodromo), ciò comunque non avrebbe consentito la pattuita destinazione d’uso di scuola di danza, il che comportava l’inadempimento grave della locatrice; non essendo, quindi nullo il contratto, la sopravvenuta sua risoluzione ex art. 1453 c.c., obbligava la locatrice ad indennizzare i conduttori ex art. 1592 c.c. nella misura indicata dal c.t.u. a titolo di miglioramenti.

Ma la locatrice ricorreva in Cassazione deducendo che dall’esame complessivo delle clausole contrattuali e dal comportamento delle parti, anche posteriore alla conclusione, emergeva in maniera inequivocabile che la locatrice nulla garantì e che la inidoneità all’uso pattuito non solo era ben nota ai conduttori, quanto dagli stessi espressamente accettata.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 3726 del 15 marzo 2012, rigettando il ricorso, ha rilevato che il giudice di appello ha correttamente ritenuto che la locatrice, attraverso il richiamo e la rilevanza data nel contratto al favorevole esito della pratica in corso di condono edilizio, aveva assicurato la destinazione dell’immobile “per uso scuola di danza”, laddove la pratica di condono edilizio atteneva invece ad un capannone con destinazione bocciodromo. Il richiesto condono per bocciodromo non sarebbe stato utile, se concesso, ad usare l’immobile come scuola di danza, destinazione pattizia, ed in relazione alla quale ai conduttori si era lasciato intendere che era stato richiesto il condono ad iniziativa della locatrice.

Si deve peraltro rilevare che in tema di locazione di bene immobile destinato ad uso diverso da abitazione, il locatore deve garantire non solo l’avvenuto rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d’uso del bene immobile, ovvero la relativa abitabilità, ma, essendo obbligato a mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto, anche il loro persistere nel tempo. Ne consegue che, ove venga per qualsiasi motivo sospesa l’efficacia dei suddetti provvedimenti e il conduttore venga a trovarsi nell’impossibilità di utilizzare l’immobile per l’uso pattuito, sussiste inadempimento del locatore, che non può al riguardo addurre a giustificazione (e pretendere, conseguentemente, il pagamento dei canoni maturati nel periodo di inutilizzabilità dell’immobile) l’illegittimità del provvedimento di sospensione adottato dalla P. A..

Nel caso in esame la locatrice non ha garantito la destinazione dell’immobile a scuola di danza per cui il conduttore di è trovato nell’impossibilità di utilizzare l’immobile per l’uso pattuito. 
 
Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, 15 marzo 2012, n. 3726
Svolgimento del processo
M. T. convenne in giudizio D. I. e G. A. esponendo di aver concesso in locazione ai convenuti un immobile per il quale il Comune avrebbe dovuto approvare il condono edilizio e sul quale i conduttori avrebbero dovuto effettuare le opere “necessarie” (sino ad una spesa complessiva di L. 60.000.000) di manutenzione ordinaria e straordinaria necessari a renderlo idoneo alla pattuita destinazione di “scuola di danza ed attività strettamente connesse”.
Il contratto prevedeva che i conduttori erano autorizzati ad eseguire le suddette opere sino all’indicato limite di spesa e che, in caso di mancato condono edilizio, la locazione si sarebbe sciolta e il locatore avrebbe restituito ai conduttori la differenza tra le somme spese e quella parte di esse “compensate con i canoni locatizi”.
Per tali ragioni la locatrice, assumendo che non erano stati corrisposti i canoni dal marzo all’ottobre 1998, per complessive L. 9.600.000 chiedeva la convalida dello sfratto intimato per morosità ed ordinarsi il rilascio dell’immobile locato.
I convenuti si opponevano alla convalida dello sfratto chiedendo in via riconvenzionale dichiararsi risolto il contratto per grave inadempimento della locatrice la quale:
a) aveva concesso in godimento un immobile privo dei requisiti di legge per ottenere le necessarie autorizzazioni amministrative;
b) aveva pattuito la risoluzione del rapporto in caso di mancato condono edilizio;
c) si era obbligata a restituire le somme spese non compensate con i canoni.
I conduttori chiedevano, inoltre, la condanna della locatrice alla restituzione della somma di L. 60.000.000, ovvero di altra a titolo di indennità ex art. 1592 c.c. per i miglioramenti derivati all’immobile.
Il Tribunale di Catanzaro, con sentenza del 19 novembre 2007 rigettava la domanda principale e in accoglimento di quella riconvenzionale, dichiarava la risoluzione del contratto per grave inadempimento della locatrice; condannava la M. al pagamento della somma di € 17.211,75 a titolo di indennità per i miglioramenti eseguiti.
Avverso tale sentenza ha proposto appello M. T.
La Corte d’Appello ha rigettato l’appello principale, ha dichiarato inammissibile quello incidentale, ha confermato l’impugnata sentenza.
La corte ha così motivato: a) le parti erano a conoscenza che l’immobile doveva essere reso idoneo all’uso cui era destinato mediante l’esecuzione di lavori indispensabili; b) l’espresso riferimento in contratto alla necessità del condono, quale condizione per la ulteriore operatività del negozio, aveva indotto i conduttori a ritenere che l’approvazione del condono edilizio avrebbe consentito di destinare l’immobile a “scuola di danza e attività strettamente connesse”; c) la pratica di condono, avviata dalla locatrice anteriormente alla stipulazione della locazione, era stata, invece, diretta a rendere il capannone idoneo alla destinazione di “bocciodromo”; d) la mancata autorizzazione di condono era stata motivata dal comune per il fatto che le eseguite opere di ristrutturazione avevano variato la prevista destinazione d’uso; e) al momento della stipulazione della locazione la M. T. era del tutto consapevole che, quand’anche fosse stato approvato il condono richiesto (bocciodromo), ciò comunque non avrebbe consentito la pattuita destinazione d’uso di scuola di danza, il che comportava l’inadempimento grave della locatrice; f) non essendo, quindi nullo il contratto, la sopravvenuta sua risoluzione ex art. 1453 c.c., obbligava la locatrice ad indennizzare i conduttori ex art. 1592 c.c. nella misura indicata dal c.t.u. a titolo di miglioramenti.
Propone ricorso per cassazione M. T. con un solo motivo e presenta memoria.
Resistono con controricorso D. I. e G. A.
Motivi della decisione
Con il primo ed unico mezzo d’impugnazione parte ricorrente denuncia <<Violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.; violazione ed errata applicazione dell’art. 1575 c.c.; violazione ed errata interpretazione della normativa urbanistica; violazione ed errata applicazione degli artt. 1358 e 1360 comma II c.c.; violazione dell’art. 115 c.p.c.; difetto e/o illogicità della motivazione su punti decisivi; (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.).>>
Con tale motivo la ricorrente deduce che dall’esame complessivo delle clausole contrattuali e dal comportamento delle parti, anche posteriore alla conclusione, emerge in maniera inequivocabile che la locatrice nulla garantì (tanto da inserire una condizione risolutiva) e che la inidoneità all’uso pattuito non solo era ben nota ai conduttori, quanto dagli stessi espressamente accettata; la mancanza di garanzia è diretta conseguenza del regime regolatorio dei reciproci rapporti in caso di avveramento della condizione risolutiva, atteso che la clausola sarebbe inutile se effettivamente fosse stata data fin dall’inizio del rapporto la garanzia erroneamente ritenuta dai giudici di merito; con la garanzia sarebbe semmai compatibile una condizione sospensiva, non già una condizione risolutiva quale è quella contenuta nell’art. 5 della scrittura privata
Il motivo è infondato.
L’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass., 30 aprile 2010, n. 10554).
Nel caso in esame la ricorrente, sebbene formalmente denunci la violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, in realtà prospetta una diversa interpretazione del contratto di locazione e della scrittura aggiuntiva rispetto a quella data dal giudice di appello il quale ha correttamente ritenuto che la locatrice, attraverso il richiamo e la rilevanza data nel contratto al favorevole esito della pratica in corso di condono edilizio, aveva assicurato la destinazione dell’immobile “per uso scuola di danza ed attività strettamente connesse”, laddove la pratica di condono edilizio atteneva invece ad un capannone con destinazione bocciodromo.
Il richiesto condono per bocciodromo non sarebbe stato utile, se concesso, ad usare l’immobile come scuola di danza, destinazione pattizia, ed in relazione alla quale ai conduttori si era lasciato intendere che era stato richiesto il condono ad iniziativa della locatrice.
Riguardo all’altra censura, relativa alla mancata compensazione di quanto speso dai conduttori per le opere eseguite con i canoni maturati sino alla data di rilascio dell’immobile, va rilevato che, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, la M. T. non ha provveduto a trascrivere l’art. 4 della scrittura integrativa che regolamenta l’obbligazione di pagare il canone locativo.
Si deve peraltro rilevare che in tema di locazione di bene immobile destinato ad uso diverso da abitazione, il locatore deve garantire non solo l’avvenuto rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d’uso del bene immobile, ovvero la relativa abitabilità, ma, essendo obbligato a mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto, anche il loro persistere nel tempo. Ne consegue che, ove venga per qualsiasi motivo sospesa l’efficacia dei suddetti provvedimenti e il conduttore venga a trovarsi nell’impossibilità di utilizzare l’immobile per l’uso pattuito, sussiste inadempimento del locatore, che non può al riguardo addurre a giustificazione (e pretendere, conseguentemente, il pagamento dei canoni maturati nel periodo di inutilizzabilità dell’immobile) l’illegittimità del provvedimento di sospensione adottato dalla P. A. (Cass., 19 luglio 2008, n. 20067).
Nel caso in esame la M. T. non ha garantito la destinazione dell’immobile a scuola di danza per cui il conduttore di è trovato nell’impossibilità di utilizzare l’immobile per l’uso pattuito.
In conclusione il motivo deve essere rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano in complessivi € 1.700,00, di cui € 1.500,00 per onorari, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.
Depositata in cancelleria il 15.03.2012

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