9 maggio 2012

La circostanza aggravante di abuso di prestazione d’opera è incompatibile con i reati colposi!


Esercitava abusivamente la professione medica con la falsa qualifica di dottoressa, così arrecando delle lesioni agli ignari pazienti. Il Tribunale di Roma condannava l’imputata per i delitti di truffa, lesioni colpose ed abusivo esercizio della professione. La Corte d’Appello della medesima città, investita del gravame dell’imputata, confermava la decisione del Tribunale, ma rideterminava la pena inflitta per i suddetti reati.

L’imputata ricorreva in Cassazione sollevando difetto di motivazione e violazione di legge in relazione all’art. 61, n. 11, c.p., per avere la Corte territoriale affermato la sussistenza dell’aggravante dell’abuso di prestazione d’opera senza avvedersi dell’incompatibilità logica tra l’aggravante stessa (che presuppone un atteggiamento mentale doloso, concretizzantesi nell’abuso) e la natura colposa del reato di lesioni ascritto.

La Corte di Cassazione con sentenza n. 15463 del 23 aprile 2012, accogliendo il ricorso dell’imputata, ha rilevato che l’aggravante dell’abuso di prestazione di opera non può caratterizzare il delitto di lesioni colpose. L’aver agito arrecando lesioni a titolo di semplice colpa, secondo il Collegio, non è compatibile con la circostanza aggravante dell’abuso della prestazione d’opera, non potendosi plausibilmente innestare sopra una condotta colposa una circostanza aggravante costituita da un atteggiamento abusivo; ossia da un atteggiamento mentale doloso, nel caso concreto volto ad approfittare di un rapporto di fiducia non meramente occasionale o estemporaneo.  Pertanto, poiché il trattamento sanzionatorio è stato determinato computando l’aggravante con riguardo anche al delitto di lesioni colpose, la sentenza impugnata è stata annulla dalla Cassazione, con rinvio per la rideterminazione della pena ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.


Corte di Cassazione, Sezione Seconda Penale, 23 aprile 2012, n. 15463

Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma ha riformato la sentenza emessa dal Tribunale della medesima città il 12.3.2008, di condanna dell’imputata V.G., rideterminando la pena inflitta per i delitti di truffa, lesioni ed abusivo esercizio di una professione.
2. Avverso la pronunzia ricorre l’imputata sollevando, in un unico motivo, difetto di motivazione (mancante, illogica o contraddittoria) e violazione di legge (in relazione all’art. 61, n. 11 cod. pen.)- Ciò per avere la Corte di merito affermato la sussistenza dell’aggravante dell’abuso di prestazione d’opera per avere l’imputata abusivamente esercitato la professione medica con ciò arrecando lesioni colpose alle parti offese senza avvedersi dell’incompatibilità logica tra tale aggravante (che presuppone un atteggiamento mentale doloso, concretizzantesi nell’abuso) e la natura colposa del reato; e inoltre, per aver ritenuto l’aggravante anche con riguardo al reato di truffa, pur costituendo la falsa qualifica di dottoressa elemento costitutivo del reato e pur disponendosi, nell’art. 61, n. 11, cod. pen., che la circostanza può rilevare solo in quanto non integra elemento costitutivo del reato: come invece è nel caso in esame, consistendo l’artifizio truffaldino proprio nella falsa qualifica professionale.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è parzialmente fondato.
Deve rammentarsi l’avviso giurisprudenziale secondo cui, premesso che l’aggravante dell’abuso di prestazione di opera concerne tutti i rapporti giuridici che comportano un obbligo di fare e instaurino tra le parti un rapporto di fiducia non meramente occasionale o estemporaneo, ovvero di semplice amicizia o favore, il quale comunque agevoli la commissione del fatto (Cass., sez. II, 12.10.2000, n. 11078), allorquando il reato di truffa venga commesso con l’artificio rappresentato dall’aver costituito una parvenza di legittima operatività di uno studio professionale, ciò non toglie che detto studio professionale, nella sua fisicità e concretezza, sia esistito e abbia operato come se fosse legittimamente istituito e che, pertanto, i clienti si siano affidati allo stesso e al suo titolare con una “minorata cautela”. Ne deriva che, indipendentemente dall’invalidità del contratto di prestazione professionale, la truffa in tal modo commessa legittimamente è da ritenere aggravata dall’abuso della relazione qualificata di prestazione d’opera professionale (Cass., sez. VI, 8.6.06, n. 37252). Conseguentemente, la Corte di appello ha correttamente ritenuto integrata, in relazione al reato di truffa - commesso dall’imputato dichiarandosi falsamente “dottoressa” - la circostanza aggravante di aver agito con abuso della relazione fiduciaria derivante dalla prestazione di opera professionale. Sotto tale profilo, il ricorso è dunque infondato.
Diversamente, l’aggravante in oggetto non può caratterizzare il delitto di lesioni colpose. L’aver agito arrecando lesioni a titolo di semplice colpa non è compatibile con la circostanza aggravante dell’abuso della prestazione d’opera, non potendosi plausibilmente innestare sopra una condotta colposa una circostanza aggravante costituita da un atteggiamento abusivo; ossia da un atteggiamento mentale doloso, nel caso concreto volto ad approfittare di un rapporto di fiducia non meramente occasionale o estemporaneo.
Poiché il trattamento sanzionatorio è stato determinato computando l’aggravante con riguardo anche al delitto di lesioni colpose, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per la rideterminazione della pena ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, che procederà al computo escludendo l’aggravante con riguardo al delitto in oggetto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta circostanza aggravante prevista dall’art. 61, n. 11, cod. pen., in relazione al reato di lesioni personali colpose. Rinvia per la rideterminazione della pena ad altra sezione della Corte di Appello di Roma. Dichiara irrevocabile la sentenza per le restanti statuizioni in punto di responsabilità.
Depositata in Cancelleria il 23.04.2012

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