3 aprile 2012

Trova un cane e se ne appropria: se l’animale non ha microchip, collare o altri segni di riconoscimento non c’è reato di appropriazione indebita!


Un ragazzo trovava per strada un cane smarrito e lo portava via con sé. Un bel gesto? Non secondo i Giudici che, sia in primo che in secondo grado, condannavano l’uomo alla pena di 1.200,00 euro di multa per il reato di appropriazione indebita ex art. 647 c.p.!

Ma l’imputato ricorreva in Cassazione deducendo, tra i vari motivi di doglianza, l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato di appropriazione indebita, anche sotto il profilo del dolo generico, pur essendo comunque privilegiabile la tesi circa la necessità del dolo specifico ai fini della configurabilità del reato de quo.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 11700 del 28 marzo 2012, ha accolto il ricorso dell’imputato, rilevando l’assoluto difetto dell’elemento psicologico del delitto nella specie contestato, in quanto:
a) il cane non aveva alcun segno di riconoscimento (microchip, tatuaggio, targhetta, ecc.) sicché è del tutto ragionevole ritenere che l’imputato non avesse la consapevolezza di aver rinvenuto un animale di proprietà altrui, e, quindi, smarrito ben potendo pensare di aver trovato un cane abbandonato o randagio;
b) l’animale, a differenza di quanto si legge nel capo di imputazione non era stato rinvenuto dall’imputato, bensì da altra persona, nella cui autovettura il cane era spontaneamente entrato, dopo averlo seguito per strada;
c) l’imputato venne in possesso dell’animale - da altri ritrovato - in quanto consegnatogli da altra persona che - conoscendolo come “amante degli animali” - glielo affidò perché lo accudisse, tant’è che il prevenuto - come dallo stesso assunto - lo fece “microchippare” e iscrivere all’anagrafe canina regionale, e solo alcuni mesi dopo la parte offesa - e cioè colui che, secondo la sentenza impugnata, in passato aveva avuto la “disponibilità del cane lasciandolo durante il giorno muovere liberamente nei dintorni dell’abitazione, presso la quale l’animale ritornava sempre spontaneamente” - ne reclamò la restituzione.
Sulla scorta di tali elementi fattuali, il Collegio ha ritenuto evidente l’assoluta buona fede dell’imputato, mandato assolto dal delitto a lui ascritto perché il fatto non costituisce reato, con conseguente annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata.
 

Corte di Cassazione, Sezione Seconda Penale, 28 marzo 2012, n. 11700

Letti gli atti, la sentenza, il ricorso;
Udita la relazione del cons.;
Udito il S. Procuratore Generale, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
C.S. condannato alla pena di €1.200,00 di multa per il reato di appropriazione indebita di un cane smarrito, ex art. 647 c.p., con sentenza del Giudice di Pace di Varazze del 6/4/2009, confermata dal Tribunale di Savona con sentenza 6.12.2010 / 20.01.2011, ricorre avverso quest’ultima decisione e, richiamando “art. 606 lett. b), c) ed e) c.p.p., deduce tre ragioni di doglianza, di seguito indicate: inammissibilità della prova testimoniale dedotta dalla persona offesa prima della sua costituzione di parte civile e illegittimità del rigetto della sua richiesta di acquisire il certificato di iscrizione del cane all’anagrafe canina onde accertarne la proprietà; insussistenza del reato come contestato per non potersi configurare l’animale “cosa da altri smarrita” e perché non vi era prova certa che il cane fosse di proprietà di B.L. costituito parte civile; insussistenza dell’elemento psicologico del reato, anche sotto il profilo del dolo generico, pur essendo privilegiabile la tesi circa la necessità del dolo specifico ed illegittimità della entità della pena non proporzionata al disvalore del fatto ed ancora illegittimità delle statuizioni a favore della parte civile per non aver questa subito alcun danno e per la sussistenza di giusti motivi per disporre la compensazione delle spese.
Il secondo motivo di ricorso con il quale si contesta la sussistenza dell’elemento psicologico è fondato.
Ritiene, infatti, il Collegio che, nella specie, difetta ictu oculi il dolo del delitto come contestato, e ciò per le seguenti considerazioni:
a) il cane non aveva alcun segno di riconoscimento (microchip, tatuaggio, targhetta, ecc.) sicché è del tutto ragionevole ritenere che l’inventore non avesse la consapevolezza di aver rinvenuto un animale di proprietà altrui, e, quindi, smarrito ben potendo pensare di aver trovato un cane abbandonato o un c. d. “randagino”.
b) l’animale - a differenza di quanto si legge nel capo di imputazione non era stato rinvenuto dall’imputato, bensì da altra persona (tale A. nella cui autovettura il cane era spontaneamente entrato, dopo averlo seguito per strada.
c) l’imputato venne in possesso dell’animale - da altri ritrovato _ in quanto consegnatogli
dall’ A. che - conoscendolo come “amante degli animali” - glielo affidò perché lo accudisse, tant’è che il prevenuto - come dallo stesso assunto - lo fece “microchippare” e iscrivere all’anagrafe canina regionale, e solo alcuni mesi dopo la parte offesa - e cioè colui che, secondo la sentenza impugnata, in passato aveva avuto la “disponibilità del cane lasciandolo durante il giorno muovere liberamente nei dintorni dell’abitazione, presso lo quale l’animale ritornava sempre spontaneamente” - ne reclamò la restituzione.
Evidente, quindi, l’assoluta buona fede dell’imputato che deve essere mandato assolto dal delitto a lui ascritto perché il fatto non costituisce reato, con conseguente annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata. Ogni altro motivo resta assorbito.
Depositata in Cancelleria il 28.03.2012

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