29 marzo 2012

Cassazione, 22 marzo 2012, n. 4751 riduzione assegno divorzile e capacità lavorativa del coniuge


Il Tribunale, all’esito di un giudizio di divorzio, dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dai due coniugi, imponendo al marito di corrispondere mensilmente un assegno divorzile in favore dell’ex moglie, nonché un contributo per il mantenimento dei due figli conviventi.

La Corte d’Appello, accogliendo parzialmente il gravame proposto dall’uomo, riduceva l’ammontare dovuto per il mantenimento della moglie, e ciò in quanto, sebbene non vi fosse dubbio che la stessa, impossidente e priva di alcuna fonte di reddito, avesse diritto a percepire l’assegno divorzile, tuttavia, il relativo importo, tenuto anche conto della sua capacità lavorativa, desumibile dalla qualifica di insegnante e dalla possibilità di dare lezioni private o di collaborare con scuole pubbliche o private, doveva essere ridotto.

La Corte di Cassazione, con sentenza del 22 marzo 2012, n. 4751, rigettando il ricorso della donna, ha ribadito che l’assegno divorzile ben può essere ridotto considerando la capacità lavorativa lucrativa del coniuge beneficiario, desumibile dalla qualifica professionale rivestita e dalle possibilità lavorative ad essa connesse.


Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, 22 marzo 2012, n. 4571

Svolgimento del processo
Con sentenza del 24.01.2008 il Tribunale di Napoli dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto il 5.05.1982, da C.A. e M.C.S., imponendo al primo di corrispondere mensilmente a quest’ultima l’assegno di € 700,00 per il suo mantenimento nonché il contributo di complessivi € 1.100,00 per il mantenimento dei due figli delle parti, maggiorenni e conviventi con la madre.
Con sentenza dell’11-24.12.2009, la Corte di appello di Napoli, in parziale accoglimento del gravame proposto dal C. avverso la sentenza di primo grado che nel resto veniva confermata, riduceva ad € 500,00 e ad € 1.000,00 (€ 500,00 per ciascun figlio), annualmente rivalutabili, gli apporti economici rispettivamente stabiliti dal primo giudice per il mantenimento della S. e dei due figli della coppia, in favore di quest’ultimi disponendo pure che l’appellante, come da sua richiesta, provvedesse al pagamento delle spese mediche e di istruzione, con compensazione delle spese processuali del grado.
La Corte territoriale osservava e riteneva:
- che la determinazione, del contributo economico per il mantenimento dei due figli delle parti, era in effetti viziata da ultrapetizione, avendo la S. limitato sul punto la sua domanda ad € 1000,00 mensili
- che relativamente all’assegno di mantenimento stabilito in favore della S., occorreva rilevare:
a) che lo stipendio mensile percepito dal C., quale dirigente medico della Asl n. 3 Napoli, risultava essere pari ad € 2.800.00 mensili, che lo stesso aveva cessato di svolgere attività di collaborazione con un centro di dialisi per incompatibilità con l’incarico da lui espletato presso la struttura pubblica e che non vi era prova che svolgesse attività libero professionale di medico
b) che sebbene non vi fosse dubbio che alla S., impossidente e priva di alcuna fonte di reddito, spettasse l’assegno di mantenimento, tuttavia il relativo importo, tenuto anche conto della sua capacità lavorativa, desumibile dalla qualifica di insegnante e dalla possibilità di dare lezioni private o di collaborare con scuole pubbliche, o private, doveva essere contenuto nella misura di € 500,00 mensili, corrispondente a quanto stabilito per ciascuno dei due figli.
Avverso questa sentenza la S. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo e notificato al C., che ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
A sostegno del ricorso la S. denunzia “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il punto decisivo della controversia afferente alla qualificazione dell’assegno di divorzio”, con riferimento alla riduzione della misura dell’assegno in suo favore.
II motivo non ha pregio.
L’impugnata pronuncia appare, seppure sinteticamente, congruamente e logicamente argomentata, in aderenza al dettato normativo e con riferimento alla valutazione ponderata e comparata delle situazioni di pertinenza di ciascuna delle due parti, all’emerso ed incontestato attuale reddito mensile del C., all’entità delle somministrazioni economiche poste a suo carico, senza tralasciare la considerazione delle condizioni personali ed economiche della S., che, sebbene risultata priva di mezzi economici, non è stata plausibilmente ritenuta pure priva per ragioni oggettive di qualsiasi residua capacità lavorativa lucrativa, essendo anche dotata di specifica qualifica professionale, laddove poi ai fini, della quantificazione dell’assegno in argomento, l’omessa assunzione anche del parametro dell’apporto da lei dato alla conduzione familiare, non doveva essere necessariamente considerata (cfr. tra le numerose altre e da ultimo, cass. n. 7601 del 2011) e comunque non appare suscettibile di assumere alcun rilievo orientativo decisivo a favore della ricorrente, essendo stato tale criterio da lei solo genericamente richiamato a fronte dell’attuale contesto anche economico puntualmente ed esaurientemente valutato.
Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.
Giusti motivi, essenzialmente desunti dalla natura delle questioni controverse e dalle peculiarità del caso, consigliano la compensazione integrale delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa per intero le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 52, comma 5, del D.Lgs n. 196 del 2003, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

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