22 marzo 2012

Cassazione, 1 marzo 2012, n. 8076 nonna trattiene la nipote impedendo al padre separato di vederla? non c’è reato se la sottrazione ha breve durata!


L’art. 574 c.p., sotto la rubrica “Sottrazione di persone incapaci”, prevede che “Chiunque sottrae un minore degli anni quattordici, o un infermo di mente, al genitore esercente la potestà dei genitori, al tutore, o al curatore, o a chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi, è punito, a querela del genitore esercente la potestà dei genitori, del tutore o del curatore, con la reclusione da uno a tre anni.
Alla stessa pena soggiace, a querela delle stesse persone, chi sottrae o ritiene un minore che abbia compiuto gli anni quattordici, senza il consenso di esso per fine diverso da quello di libidine o di matrimonio
.”

Tale fattispecie, come ben sapranno gli avvocati che quotidianamente affrontano problematiche legate ai rapporti familiari, è sovente tirata in ballo, il più delle volte a sproposito, dai genitori separati, o che si stanno separando, nei conflitti aventi ad oggetto il diritto di visita dei figli. Poveri figli.

Il caso estratto dalla sentenza oggi in commento è, per certi versi, ben collocabile nella casistica appena delineata. La nonna materna, in due distinte occasioni, tratteneva la nipote impedendo al padre separato di prelevarla dall’abitazione della moglie. La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, riteneva che la ritenzione della minorenne per due interi pomeriggi costituisse una durata certamente apprezzabile ai fini della configurabilità del reato contestato.

Ma la nonna ricorreva in Cassazione, osservando che la sottrazione non era avvenuta per un periodo di tempo rilevante come richiesto dalla giurisprudenza di Legittimità. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8076, depositata l’1 marzo 2012, ha innanzitutto ricordato che l’ art. 574 c.p. è posto a tutela dell’ esercizio della potestà dei genitori o di analoghe situazioni soggettive previste nell’interesse della persona incapace, ed è violato ogniqualvolta l’agente, contro la volontà dell’avente diritto, operi una sottrazione o eserciti una ritenzione di quella persona. In linea generale tale violazione può dirsi consumata qualunque sia il periodo di tempo in cui la sottrazione o la ritenzione si protraggano, dato che la condotta corrispondente a quella della norma penale si manifesta immediatamente come lesiva della volontà e quindi del potere-dovere del titolare.

La situazione risulta tuttavia più complessa nel caso in cui vi siano più soggetti titolari della potestà dei genitori o di analoghe situazioni soggettive, la condotta vietata dalla norma venga addebitata a uno di questi a danno di altri. In questa evenienza è compito dell’ interprete stabilire la linea di demarcazione tra quella che deve essere intesa come una manifestazione dell’esercizio della propria potestà e il comportamento che si configuri come diretto a contrastare il diritto dell’ altro, dovendosi considerare, a questo fine, la gerarchia che la stessa legge pone tra le potestà, con prevalenza di una volontà sull’altra, nonché, ove sussista, il regolamento che il giudice ha determinato con gli eventuali provvedimenti di affidamento. Sempre peraltro nella considerazione che nella specie si tratta di situazioni potestative e cioè non dettate nell’interesse esclusivo del loro titolare, ma per il soddisfacimento di quello della persona incapace.

Così, proprio per il contemperamento tra tali situazioni contrapposte, la giurisprudenza ritiene che, nell’evenienza descritta, il reato non si configura come istantaneo, ma sia necessario che l’impedimento dell’esercizio dell’altrui potestà si protragga per un periodo di tempo rilevante e ciò perché la sottrazione o la ritenzione non possono ritenersi immediatamente lesive dell’interesse dell’incapace, in quanto per altro verso sono esse stesse un esercizio di una potestà sul minore, sebbene recessiva rispetto a quella di altro titolare.

Trasponendo tali valutazioni al caso di specie, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8076/2012, annullando la sentenza impugnata, ha ritenuto che nella situazione descritta, il rifiuto di consegna con trattenimento per poche ore della piccola da parte della nonna materna non abbia avuto un rilievo tale da integrare il reato di sottrazione di persona incapace.

Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, 1 marzo 2012, n. 8076

Ritenuto in fatto
1. ln riforma della sentenza del Tribunale di Parma, la Corte d’Appello di Bologna, pronunciando sull’impugnazione della parte civile, riteneva I.F. responsabile ai fini civili di due episodi di sottrazione della nipote minore E.B., non avendo consentito il 12 e il 14 novembre 2002 al padre separato P.B. di vedere la figlia minore E. e di prelevarla dall’ abitazione della moglie sparata.
A differenza del Tribunale, la Corte d’Appello ha ritenuto che la ritenzione della minorenne per due interi pomeriggi costituisse una durata certamente apprezzabile ai fini della configurabilità del reato di cui all’ art. 574 c.p.
2. Ricorre la F. la quale osserva che la sottrazione non era avvenuta per un periodo di tempo rilevante siccome richiesto dalla giurisprudenza di legittimità e siccome correttamente ritenuto in primo grado. Si trattava di un paio d’ore per due pomeriggi, per modo che non erano state in alcun modo compromesse né la funzione educativa né le altre manifestazioni inerenti alla potestà del genitore.
D’altra parte solo un episodio era stato accertato e cioè quello del 12 novembre ed esso era derivato dalla paura della ricorrente, all’epoca dei fatti settantacinquenne, di incontrare il genero, uso ad ingiuriarla e a minacciarla, del resto la F. in questa occasione non s’era rifiutata, ma s’era limitata ad invitare il B. ad attendere l’arrivo delle forze dell’ordine, in un clima di forte conflittualità esistente tra i genitori della piccola E.
Quanto al 14 novembre il mancato incontro si doveva al ritardo del padre, a seguito del quale la nonna, certa che il B. non si sarebbe fatto vedere, era uscita con la nipote dall’abitazione.
3. La F. ha successivamente presentato memoria nella quale, ribadite le precedenti considerazioni, rileva come la ricorrente non fosse destinataria del provvedimento di affidamento della minore emesso dal giudice nei confronti dei genitori separati, come ella non avesse in alcun modo sottratto la minore ma semmai, quale nonna, esercitato per un brevissimo lasso di tempo una ritenzione giustificata in ragione dei rapporti conflittuali esistenti con il genero a sua volta denunciato, come infine in sede di merito non sia stato effettuato il doveroso controllo di attendibilità delle dichiarazioni del B.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
L art. 574 del codice penale è posto a tutela dell’esercizio della potestà dei genitori o di analoghe situazioni soggettive previste nell’interesse della persona incapace, ed è violato ogniqualvolta l’agente, contro la volontà dell’avente diritto, operi una sottrazione o eserciti una ritenzione di quella persona. In linea generale tale violazione può dirsi consumata qualunque sia il periodo di tempo in cui la sottrazione o la ritenzione si protraggano, dato che la condotta corrispondente a quella della norma penale si manifesta immediatamente come lesiva della volontà e quindi del potere-dovere del titolare.
2. La situazione risulta tuttavia più complessa nel caso in cui, essendo più soggetti titolari della potestà dei genitori o di analoghe situazioni soggettive, la condotta vietata dalla norma venga addebitata a uno di questi a danno di altri. In questa evenienza è compito dell’ interprete stabilire la linea di demarcazione tra quella che deve essere intesa come una manifestazione dell’esercizio della propria potestà e il comportamento che si configuri come diretto a contrastare il diritto dell’ altro, dovendosi considerare, a questo fine, la gerarchia che la stessa legge pone tra le potestà, con prevalenza di una volontà sull’altra, nonché, ove sussista, il regolamento che il giudice ha determinato con gli eventuali provvedimenti di affidamento. Sempre peraltro nella considerazione che nella specie si tratta di situazioni potestative e cioè non dettate nell’interesse esclusivo del loro titolare, ma per il soddisfacimento di quello della persona incapace.
Così, proprio per il contemperamento tra tali situazioni contrapposte, la giurisprudenza ritiene che, nell’evenienza descritta, il reato non si configura come istantaneo, ma sia necessario che l’impedimento dell’esercizio dell’altrui potestà si protragga per un periodo di tempo rilevante (cfr. Cass. Sez.3, 8 luglio 2008, Rv.241637) e ciò perché la sottrazione o la ritenzione non possono ritenersi immediatamente lesive dell’interesse dell’incapace, in quanto per altro verso sono esse stesse un esercizio di una potestà sul minore, sebbene recessiva rispetto a quella di altro titolare.
3. Nella specie si verteva nella descritta situazione di conflitto di potestà e perché la F. esercitava la vigilanza sulla minore su mandato della madre e perché, in quanto nonna della piccola E. vantava essa stessa una potestà sulla bambina ancorché subordinata a quella dei genitori.
Ora la Corte d’Appello, sia pure con reticenza, riconosce che la ricorrente non può assimilarsi a un terzo ai fini del reato di sottrazione e che quindi il suo rifiuto di consegna non configura di per sé la violazione dell’art. 574 c.p. Aggiunge tuttavia la stessa Corte che l’omessa consegna della piccola al padre si è protratta per un periodo tale” da impedire al padre la svolgimento della potestà genitoriale (non da ultimo con le implicazioni affettive ad essa conseguenti) nei rari spazi che gli venivano riconosciuti quale ex marito dell’altro genitore”.
E’ questo un apprezzamento che si contrappone frontalmente a quello del Tribunale di Parma, il quale, dal canto suo, aveva invece sottolineato che un trattenimento della bimba, per poche ore in due pomeriggi, non era immotivato o motivato in relazione a un disconoscimento del diritto del padre, ma traeva origine dal desiderio di non avere un contatto diretto con il genero, con cui la D. aveva rapporti particolarmente tesi.
4. Non è compito del giudice di legittimità formulare esso stesso una terza valutazione. Deve tuttavia rilevarsi che mentre la stima sulla rilevanza del tempo fatta della Corte d’Appello ha riguardo soltanto all’interesse del padre, quella del Tribunale non prescinde dalla necessaria considerazione del minore, la cui serenità era posta in pericolo dall’eventualità di spiacevoli scenate che entrambe le sentenze di merito danno per avvenute in precedenti occasioni. E in questo senso deve allora concludersi, in linea con la sentenza del primo giudice, che nella situazione descritta il rifiuto di consegna con trattenimento per poche ore della piccola non ha avuto un rilievo tale da integrare il reato di sottrazione di persona incapace.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Depositata in Cancelleria il 01.03.2012

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